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 2016  maggio 28 Sabato calendario

Ma la corsa alle armi nucleari va avanti

È un presidente animato dalle migliori intenzioni, Barack Obama. I suoi slanci sono giudicati «ammirevoli». Ma la corsa folle all’atomo bellico sembra inarrestabile. Dall’Asia stessa, dove era in questi giorni, si levano tamburi di guerra. La Corea del Nord marcia a tappe forzate verso la bomba miniaturizzata. Con una duplice strategia, semisegreta, fatta di sommergibili e satelliti di osservazione. Le tecnologie non brillano. Si pensa che manchino cinque anni per avere il primo sottomarino lanciamissili nordcoreano.
C’è da preoccuparsi? Bastano due calcoli: missile da 3mila chilometri più autonomia del sommergibile uguale scenari tetri per il Mar del Giappone. L’altra direttrice del programma coperto di Kim Jong-un passa per lo spazio. Pyongyang sta maturando sul piano satellitare. Mattone dopo mattone si prepara a identificare dallo spazio i siti radar antimissilistici sudcoreani e giapponesi. A Tokyo e a Seul si innalzano nuove barriere. Forse arriveranno missili-scudo americani. L’ombrello atomico di Washington sembra non bastare più. In Giappone tramonta la costituzione pacifista del 1949. Le forze armate si tengono appena un gradino sotto la soglia nucleare. Padroneggiano tutte le tecnologie. Hanno uno stock di plutonio “militarizzabile” in pochi mesi. Ma non armano ancora le testate. Per ora.
E veniva dalla sconfitta campale del ’62. Mai avrebbe accettato un ulteriore ridimensionamento regionale. Oggi è una potenza atomica matura, con missili e sommergibili. Ma le scelte indiane di politica militare hanno sempre riecheggiato in Pakistan: «Mangeremo foglie o erba, ma avremo una nostra
L’ASIA-PACIFICO. Molto dipenderà dal rischieramento americano nel Pacifico, ormai in itinere. Washington sta tornando in forze sia in Asia, sia in Europa. Porterà in dote nuove armi. Fra il 2020 e il 2024, il deterrente atomico americano si chiamerà B61-12. Secondo alcuni, la nuova bomba nucleare a stelle e strisce sarà prodotta in 400 esemplari. Altro che disarmo. Gli Stati Uniti stanno studiando un sistema a minor impatto e maggior possibilità d’impiego. Ne saranno armati i cacciabombardieri storici e i nuovi aerei strategici in via di sviluppo. Perché c’è da tenere a bada anche la Cina. Le ambizioni di Pechino nel mar cinese meridionale tradiscono appetiti economici. Ma c’è molto altro. La base “rivierasca” di Hainan è il “sancta sanctorum” dei progetti di potenza cinesi. Da lì e dal mare del sud le forze nucleari della marina potranno puntare le Hawai e il continente americano, non appena i missili saranno pronti. Quel mare ha acque profonde, ideali per i sottomarini atomici. Ecco perché i cinesi stanno alterando lo status quo dell’area. Ci manderanno la portaerei, nel più tipico stile sovietico. Forse è il caso di ricordare la reazione a catena scatenata dal primo ordigno cinese. Quando Pechino lo sperimentò, nel 1964, gli indiani non stettero a guardare. New Delhi bomba», giurò il premier Bhutto, prima di esser rovesciato dai militari. Oggi, non c’è paese al mondo che proliferi tanto quanto il Pakistan.
LEGAMI CON IL MEDIO ORIENTE. Il generale Rahul Sharif ha ricordato da poco che l’arsenale atomico del suo Paese non ha pari al mondo quanto a rapidità di sviluppo. E chi ne finanzia la corsa? L’Arabia Saudita, almeno dagli anni 70, e non certo a titolo gratuito. Una delegazione pachistana ha fatto la spola con Riad il 3 febbraio scorso, prima visita dall’ascesa al trono di Salman bin Abdulaziz, riaffermando un legame strategico riassumibile in poche parole: soldi sauditi in cambio di testate atomiche pachistane, trasferibili d’urgenza. Armabili con ogive nucleari, gran parte dei vettori sauditi sono puntati sull’Iran, il cui programma atomico è stato congelato per qualche anno. Poi si vedrà. Oggi come oggi, Teheran sarebbe in grado di produrre 10-12 bombe nel giro di due mesi. Il tanto sbandierato accordo del 5+1 – affermano molti scettici – serve ad allontanare lo spettro del “break-out time”, portandolo da 60 giorni a un anno. E infatti gli israeliani non si fidano. E stanno potenziando tutti gli strumenti della loro triade atomica. In molti però si pongono una domanda: da quando è potenza atomica, Israele ne ha tratto beneficio? Il deterrente nucleare non ha impedito la guerra del Kippur, né dissuaso Saddam Hussein dal lanciare missili Scud nel 1990-1991. Hezbollah ha combattuto ad armi pari nel 2006. Se lo scontro sciiti-sunniti non si placherà, potremmo avere sei potenze nucleari in Medio Oriente. Perché molti vagheggiano l’arma fatale: sauditi, egiziani e turchi in primis. Il disimpegno americano dall’area non promette nulla di buono, anche se Ankara è sotto l’ala protettrice della Nato e del suo ’nuclear sharing’.
L’EUROPA. L’Alleanza Atlantica ha in arsenale 180 bombe atomiche aeree, ripartite fra sei basi tedesche, belghe, olandesi, italiane e turche. Anche da noi arriveranno le B6112, sotto controllo dell’US Air Force, ma impiegabili dai Tornado e dagli F-35, con l’ok statunitense. Francesi e inglesi sono già autosufficienti. I polacchi premono. Dall’altro lato del confine, c’è l’ombra russa. E i piani atomici del Cremlino sono i più ambiziosi, risorse permettendo.