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 2016  maggio 26 Giovedì calendario

Leggiamo sui siti stranieri parole abbastanza terribili, «swallowed», «enorme socavón», «s’effondre», «collapse», addirittura «burying cars», cioè «automobili sepolte», e tutte queste parole si riferiscono a Firenze e al doppio incidente sul lungarno Torrigiani che ha fatto sprofondare di sei metri una ventina di macchine, allagato la zona, tolto l’acqua alla città per parecchie ore

Leggiamo sui siti stranieri parole abbastanza terribili, «swallowed», «enorme socavón», «s’effondre», «collapse», addirittura «burying cars», cioè «automobili sepolte», e tutte queste parole si riferiscono a Firenze e al doppio incidente sul lungarno Torrigiani che ha fatto sprofondare di sei metri una ventina di macchine, allagato la zona, tolto l’acqua alla città per parecchie ore. Gli Uffizi si trovano proprio di fronte, dall’altra parte del fiume, e questo ha garantito la copertura mondiale del disastro, a cinquant’anni - tra l’altro - dall’alluvione. C’è poi la questione mai risolta del dissesto generale italiano, territorio sempre nei guai perché mal tenuto, mal costruito, poco amato. Infine Firenze è la città di Renzi, quindi la rottura del tubo di ghisa e la voragine hanno dato la stura a ogni possibile accusa a Renzi e ai renziani, anche perché Publiacqua, la società che gestisce il rifornimento idrico del medio Valdarno (Firenze, Prato, Pistoia, Arezzo), è governata oggi ed è stata governata ieri, a ogni livello, da personaggi che devono tutto al premier e se quando fanno bene fanno bene in suo nome, quando sbagliano sbagliano sempre in suo nome. Tra le dichiarazioni di ieri, la più impressionante, in questo senso, è quella del sindaco Nardella, renzianissimo, il quale ha detto che da Publiacqua esige delle spiegazioni. Frase che farebbe intravedere la possibilità di una frattura persino all’interno dello schieramento renziano.

Il premier?
Non ha detto una parola. Però a un certo punto è arrivato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, e ha garantito «la copertura per tutti i finanziamenti che saranno necessari al ripristino del lungarno crollato».  

Spieghiamo bene l’incidente.
A quanto si capisce si tratta di due incidenti. Il primo si verifica tra mezzanotte e l’una e mezza. Sul lungarno Torrigiani scorre a un tratto, provenendo da sotto terra, un fiume d’acqua. Dei ragazzi si divertono a filmare il fenomeno con i telefonini, i passanti chiamano il 113. Arrivano i tecnici, e riparano questo tubo di ghisa di settanta centimetri che si è rotto e ha provocato la fuoriuscita di acqua. I tecnici spiegano che s’erano accorti del guasto anche senza bisogno delle segnalazioni, perché la rete è controllata con un telemetro che avverte dei cambi di pressione. E qui, essendosi rotto il tubo, la pressione era precipitata. Fino a questo punto, l’incidente è fastidioso, ma di poco conto.

Poi che è successo?
Tra le quattro e mezzo e le sei dei mattino, s’è aperta, in corrispondenza della precedenza perdita, una voragine lunga 200 metri e profonda sei. Ci sono foto da tutte le parti, si vede bene sui siti italiani e su quelli di tutto il mondo la fila di auto parcheggiate che è sprofondata. Sullo sfondo Ponte Vecchio oppure Palazzo Pitti. Nessuno si è fatto male, ma la spalletta del fiume s’è spostata di un metro ed è concreto il rischio che crolli. Lo ammette anche il sindaco: «È un’ipotesi, anche se da due ore, grazie ai rilevamenti radar, sappiamo che non s’è più mossa». Il radar è quello messo a disposizione dal dipartimento Scienze della Terra dell’università di Firenze. L’apparecchio, posizionato in piazza Mentana, «è in grado di misurare gli spostamenti anche soltanto millimetrici del terreno», come ha detto Aldo Piombino, blogger scientifico collaboratore del dipartimento universitario. Il sindaco ha valutato i danni in cinque milioni di euro.

Vediamo adesso di capire se c’è una colpa oppure se si è trattato di fatalità.
Sempre il sindaco, benché la dinamica esatta del guaio non sia stata ancora ricostruita, ha parlato di «errore umano». L’opposizione attacca a testa bassa, per bocca soprattutto dei grillini. L’onorevole cinquestelle Federica Draga ha parlato di «gestione criminale della risorsa idrica di Firenze» con bollette dal costo esorbitante (402 euro a famiglia nel 2015, in realtà all’ottavo posto in Italia), con investimenti sulla rete per 50 euro a utente contro la media nazionale di 27 euro. L’altro grillino Alfonso Bonafede: «Le perdite erano riscontrate da tempo. C’è un reticolo idrico fatto da 225 km di tubi in amianto, mentre quelli che non sono in amianto determinano perdite d’acqua fino al 51%. Acqua che i cittadini pagano lo stesso ma che poi finisce per erodere il terreno e determinare, come in questo caso, crolli e cedimenti un po’ su tutto il territorio». Firenze e Publiacqua stanno nel cuore del renzismo: la società, quotata, è partecipata dai comuni che serve per il 60% e ha quote di minoranza in mano ai privati, tra cui la romana Acea e la Suez. Dentro è passato lo stato maggiore renziano, dalla Boschi, che nel consiglio d’amministrazione della partecipata ha fatto le sue prime esperienze, a Erasmo D’Angelis, presidente dal 2009 al 2012, poi chiamato a Palazzo Chigi, infine messo a dirigere l’Unità (ora è in uscita).

Che diciamo sullo stato del Paese, dal punto di vista idrogeologico?
D’Angelis, all’inizio della sua carriera verde di Legambiente e giornalista del manifesto, a Palazzo Chigi venne messo a coordinare la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico. Disse (era marzo dell’anno scorso) che per mettere in sicurezza il Paese basterebbero 27 miliardi, ma che la faccenda è in mano a una «filiera irresponsabile», colpevole di «omissioni, sottovalutazioni, sciatterie, rimozioni, mancanza di disciplina». «Abbiamo calcolato 3.600 uffici titolari di questa materia e 12.500 normative tra stato centrale e periferico» eccetera eccetera. Le solite cose.