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 2016  maggio 25 Mercoledì calendario

Le domande giuste sulla riforma della Costituzione

Come troppo spesso accade nel nostro Paese ho l’impressione che le premesse del voto referendario di ottobre siano già sbagliate. Nel senso che chi sta iniziando a fare campagna a favore del «no» sta personalizzando il confronto più sulla figura di Matteo Renzi, e della sua permanenza al governo, che sui quesiti per cui si andrà a votare. Cosa che, per inciso, anche lo stesso presidente del Consiglio ha a suo modo favorito. In realtà non ci dovremmo chiedere se sia meglio lasciare tutto com’è o provare a cambiare qualcosa? Personalmente non sono molto entusiasta dei cambiamenti costituzionali proposti. Il Senato sarebbe stato meglio abolirlo anziché renderlo un non-senso che serve solo a mantenerne la struttura e i suoi dipendenti. Alla regola superata del 50%+1 per il quorum nei referendum hanno affiancato una sorta di soluzione «B» che crea solo confusione. La legge elettorale, beh, quella è arrivata con 60 anni di ritardo dalla famigerata e mai abbastanza rimpianta «Legge truffa». E tutti questi cambiamenti saranno poi contenuti in un solo quesito! Che dire? Voterò anch’io «no?». Al contrario, personalmente voterò «sì», turandomi il naso, come diceva Indro Montanelli, ma lo farò. Perché l’alternativa di far restare tutto come prima sarebbe peggio! Oppure sbaglio?

Mario Taliani 
Caro Taliani,
Come quello del governo Berlusconi, il progetto sottoposto al referendum confermativo del prossimo ottobre non è stato approvato da un’Assemblea Costituente, vale a dire da un organo espressamente designato a scrivere una Carta concepita organicamente. È stato approvato dal Parlamento, ovvero in un luogo dove tutto viene contrattato e in cui gli interessi contingenti delle singole forze politiche prevalgono spesso su esigenze e considerazioni di più largo respiro. È inevitabile quindi che questo progetto, come quello precedente, contenga compromessi che nuocciono alla chiarezza e alla coerenza dell’insieme.
A questo punto, essendo ormai evidente che l’Assemblea Costituente non piace alla grande maggioranza dei politici italiani, l’elettore deve chiedere a se stesso se vi siano riforme particolarmente necessarie per cui vale la pena di rinunciare alla perfezione. Le prime domande, a mio avviso, concernono il bicameralismo e sono queste. Conviene all’Italia e al buon funzionamento del suo sistema politico che ogni legge debba essere votata da due Camere in cui vi sono spesso maggioranze diverse? Conviene all’Italia che il governo debba chiedere la fiducia di entrambe le Camere? Se riterrà che il bicameralismo ha creato una democrazia lenta, zoppicante e ricattata dai partiti, l’elettore giungerà inevitabilmente alla conclusione che occorre modificare la natura e i compiti del Senato. Molti hanno osservato, con qualche ragione, che la Camera alta, così come è stata disegnata nel progetto del governo Renzi, non è né carne né pesce. Ma la scelta, oggi, non è fra due tipi di Senato. La scelta che dovremo fare, con il referendum del prossimo ottobre, è tra la fine del bicameralismo perfetto e l’ennesima rinuncia a qualsiasi riforma della Costituzione. Mi piacerebbe che l’elettore, prima di votare, facesse a se stesso queste domande.