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 2016  maggio 24 Martedì calendario

Chi ha affossato le banche del Veneto

Ieri il Corriere della Sera, in prima pagina, ha scoperto Montagnana. Montagnana è una cittadina meravigliosa, tutta murata, che si trova nell’estremo sud-ovest della provincia di Padova. In questi giorni era in festa: la piazza e le vie principali brulicavano di banchetti che vendevano il crudo. Un prosciutto particolare, che non assomiglia a quello di Parma o al San Daniele, forte comunque di una sua personalità. Ma dopo le degustazioni i montagnanesi e tutti gli abitanti della bassa padovana e veronese sono tornati a casa ai loro pensieri. Il principale istituto della zona, Crediveneto, è stata salvata in extremis da Banca Sviluppo, una sorta di fondo Atlante delle Bcc. Il buco nei conti era diventato insostenibile: 75 milioni. Una bomba per un istituto che movimentava appena un miliardo.
Crediveneto però è solo la punta di un iceberg: il Veneto, come appunto ha raccontato ieri Federico Fubini sul Corriere, sta diventando la terra dei disastri bancari. L’elenco è presto fatto: Popolare di Vicenza ha visto il capitale azzerarsi, Veneto Banca sta provando ad andare in Borsa ma è probabile che rivivrà la stessa esperienza di Vicenza, il Banco Popolare chiederà a breve l’ennesimo miliardo ai soci per potersi sposare con Bpm e poi ci sono altri piccoli-medi istituti in difficoltà. Con inchieste giudiziarie aperte e centinaia di migliaia di piccoli azionisti-obbligazionisti beffati. Sono andati in fumo decine di miliardi di euro di risparmi, costruiti con sacrifici generazionali. Una botta che influirà sul Pil dei prossimi anni: senza risparmi, per dire, non potrai acquistare la casa al figlio…
La domanda che si poneva Fubini e che in realtà si fanno tutti è questa: com’è possibile che la locomotiva del Nordest abbia tutte le banche in difficoltà? Di chi è la colpa? Fubini ha provato a fare un’analisi: «La tempesta perfetta del Veneto ricorda quelle di altre economie dinamiche dell’euro, la Spagna o l’Irlanda. Con l’avvio della moneta crollano i tassi d’interesse e il credito alle imprese nella regione esplode fra il 1999 e il 2001 da 47 a 107 miliardi, a prezzi correnti: il Veneto pesa meno di un decimo dell’economia italiana eppure concentra più di un decimo dei prestiti descrivibili come “produttivi”. Il problema è che non lo sono, non sempre. Mentre il credito alle imprese venete compie un balzo del 125% nei primi dodici anni dell’euro (sempre a prezzi correnti), l’economia cresce appena del 39%».
Una bolla insomma, scoppiata per colpa di prestiti diventati sofferenze, «un sistema di corruzione» e bilanci poco chiari delle Pmi… Eh, no. Non possiamo dipingere il Veneto come la Spagna dei ladrillos (i palazzinari). Questo per tre motivi principali:
1) Le Pmi del Veneto è vero che hanno approfittato del credito facile per avere prestiti. Ma non è certo colpa delle Pmi se Lehman Brothers ha fatto crac e, di conseguenza, è scoppiata la più grande crisi dopo il 1929.
2) Ci siamo dimenticati degli imprenditori che si sono tolti la vita? Dal 2011, vero anno spartiacque della crisi italiana, il Veneto ha battuto tutti i record di suicidi. E tanti hanno compiuto l’estremo gesto perché rincorsi da un fisco ottuso o perché lo Stato non pagava i suoi debiti. Non solo: con le manovre Tremonti-Monti la pressione fiscale e burocratica è diventata intollerabile in presenza di una crisi che dura da 7 anni. Ti credo che allora qualche azienda non restituisce il prestito, ti credo che quel credito diventi sofferenza, ti credo che la banca va a gambe all’aria.
3) Sì, il Veneto ha anche delle colpe: la res publica, la cosa pubblica, è stata gestita coi piedi. Il Mose, con fiumi di tangenti, ne è il simbolo del decadimento morale. Ma anche i presidenti delle Confindustrie locali che, mentre erano seduti nel cda di Pop Vicenza, si facevano prestare soldi dalla stessa banca, non possono certo dare lezioni di moralità. E infine non dimentichiamo che i Zonin o i Consoli, che hanno guidato Bpvi e Veneto Banca, non sono certo dei santi. Non a caso la magistratura sta indagando.
Ma poi vogliamo dirla tutta? Il Veneto è fra le prime regioni nella classifica della fedeltà fiscale. E restare in vetta in questa graduatoria durante le vacche magre, non è facile. La politica poi – sia Forza Italia che il Pd – non ha mai capito il malessere dei veneti, che sfocerà in un referendum sull’autonomia fiscale a ottobre, in concomitanza con quello sulle riforme costituzionali di Renzi. I partiti nazionali però confermano di non capire il problema, inveendo contro la voglia di autonomia o fregandosene. Dimenticando invece che è il residuo fiscale, cioè i soldi che da Venezia vanno a Roma senza ritorno, a tenere in piedi l’Italia, assieme a quello di Lombardia, Emilia Romagna e pochi altri territori. Solo per il Veneto parliamo di una ventina di miliardi l’anno. Alla fine scopriamo così che l’ex Serenissima avrà anche le banche disastrate, ma se avesse i suoi soldi sarebbe meglio della Germania. E le banche sarebbero pure sane.