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 2016  maggio 24 Martedì calendario

Se non cresce adesso l’Italia non cresce più. Parola dell’Fmi

Togliete tre decimi di crescita sia per quest’anno che per quello passato, perché generati solo dal carburante del deficit pubblico. Poi eliminatene più o meno altrettanti, prodotti dal crollo dei tassi d’interesse innescato dagli interventi della Banca centrale europea. Infine cancellate un’altra piccola porzione di reddito nazionale in più perché permessa solo dal crollo del prezzo del petrolio, il terzo dei fattori che non potranno tornare molto presto.
Il risultato è la domanda di fondo della missione del Fondo monetario internazionale in queste settimane fra Milano e Roma: cosa resterebbe di questa ripresa italiana, senza quelle tre spinte irripetibili? Dello 0,8% di crescita del 2015 non sarebbe rimasto quasi niente, del probabile 1,1% di quest’anno sarebbe rimasto poco se fosse dipeso solo dal dinamismo intrinseco dell’economia. Dopo la doppia recessione l’Italia è in ripresa, ma ancora non sta camminando davvero sulle proprie gambe.
Molti degli interventi che l’Fmi propone per curare questa anemia cronica del sistema coincidono con quanto il governo ha realizzato o messo in cantiere, a partire dal Jobs Act. Altri indicano strade opposte, per esempio finanziare sgravi sul lavoro con «l’introduzione di una moderna tassa sugli immobili». Ma la visita dei tecnici di Washington a Roma e a Milano è servita se non altro a ridimensionare l’idea che questa ripresa da sola, comunque sostenuta, risolva tutto.
Il Fondo mette in conto per l’Italia una crescita di 1,1% per quest’anno e poco di più il prossimo e quello successivo. Ma per il seguito prevede che il ritmo di creazione di nuovo reddito nel Paese rallenterà di nuovo. Anche se le riforme venissero davvero realizzate, a una velocità di crociera sostenibile l’espansione è destinata a tornare in media sotto all’1% l’anno. Solo quasi vent’anni dopo l’esplosione della crisi l’economia sembra destinata a tornare ai livelli del 2007: l’appuntamento è «a metà degli anni 2020», si legge nel testo dello staff del Fondo distribuito ieri. Nel frattempo si sarà allargato ancora lo scarto con i redditi di chi vive dall’altra parte delle Alpi; dunque la voglia di emigrare dei giovani più capaci e istruiti può solo crescere, se le tasse e le regole sul lavoro continuano a penalizzarli.
Stendere un po’ di maquillage sulla realtà non è mai stata missione del Fondo monetario. Il messaggio dei tecnici di Washington è che l’Italia ha davanti a sé un altro decennio di sviluppo debole, durante il quale nessun problema si risolverà da sé: la situazione resta «fragile» (la parola più usata ieri a Roma), senza una determinazione specifica il debito non è destinato a scendere, e i crediti in default delle banche rimarranno elevati a meno di nuove riforme giudiziarie che accelerino le soluzioni anche sui debitori esistenti; non solo su quelli futuri, come deciso dal governo per il momento.
Questi però non sono segnali di resa. L’Fmi non sta dicendo all’Italia che non c’è più niente da fare perché la pressione fiscale è troppo pesante, l’amministrazione inefficiente e l’accesso al mercato di nuovi imprenditori è comunque troppo difficile. Il messaggio è l’opposto: il momento di agire, per il governo, è adesso. Nei prossimi anni probabilmente sarà più difficile, perché i tassi d’interesse sul debito possono salire e si è già visto nel 2015 o nel 2016 come il Paese resti esposto in ogni momento alle scosse dei mercati finanziari.
Di qui il difficile gioco di equilibrio che, secondo il Fondo, il governo ha davanti a sé. La politica fiscale deve tenere in vita questa ripresa senza però rinunciare a ridurre il debito. Per il Fondo monetario già dall’anno prossimo, e nei successivi, si dovrà rivedere l’impegno a portare il bilancio pubblico verso il pareggio e poi in lieve surplus, almeno nelle tendenze di fondo. Non farlo significa che l’Italia resta «esposta a rischi» in questa unione monetaria incompiuta. Tagliare le tasse sul lavoro e i redditi deve andare di pari passo con scelte più impopolari: ripulire lo Stato dalla spesa pubblica inefficiente, oppure eliminare deduzioni e detrazioni fiscali ingiustificate e alzare le aliquote Iva ridotte.
Il programma dell’Fmi in parte coincide con quello del governo. È così per i negoziati sui contratti da portare in azienda, per una vera legge sulla concorrenza nei servizi e nelle professioni da approvare, nell’amministrazione da rendere più moderna. La differenza, vista da Roma, è che il Fondo monetario poi non dovrà presentarsi alle elezioni. Ma vista da Washington, è che l’Italia non ha un tempo infinito dopo aver già rischiato il default appena quattro anni fa.