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 2016  maggio 09 Lunedì calendario

Guido Guglielmi e la libertà di indossare calzini spaiati

Quando, negli anni Sessanta, Elio Vittorini parlava dei tre fratelli Guglielmi faceva, naturalmente, dei distinguo. Il più geniale? Giuseppe, il maggiore dei fratelli. Come poeta (voleva spiegare il mondo coi versi) era autore di Essere e non avere (1955), Panglosse (’67) e Ipsometrie (’80); traduttore dal francese, aveva pubblicato Baudelaire, Céline, Balzac, Gide, Camus, Boulez, Queneau e altri. Il più concreto? Angelo, critico di narrativa italiana (fondatore con Umberto Eco ed Edoardo Sanguineti del Gruppo 63), che diventerà famoso soprattutto per avere rivoluzionato, da direttore, Raitre. Il più intelligente? Guido, docente di Letteratura italiana contemporanea e Metodologia della critica d’arte all’università di Bologna.
Guido Guglielmi è morto nel 2002, a 72 anni. Collaboratore di riviste come «Paragone», «Nuovi argomenti», «Alfabeta», «Il Verri», ha scandagliato buona parte della letteratura del secolo XX. Critica come scienza, però (entrambe «paradigma fondativo della nostra cultura», annotava in un saggio del ’97).
L’ultima testimonianza, in questo senso, viene adesso, dalla raccolta in volume di saggi, sparsi su miscellanee e riviste, a cura di Valerio Cuccaroni (Pendragon, pagine 160, e 14). Il titolo, Critica del nonostante, fa scappare a gambe levate. Al contrario, il sottotitolo, Perché è ancora necessaria la critica letteraria, chiarisce il mondo magico di questo signore della critica che Niva Lorenzini nella prefazione definisce «letterato-filosofo, capace di sintesi fulminati, che con esattezza e rigore si interrogava sul senso della letteratura» che si rinnovava continuamente, registrandone i limiti e seguendo «il trasformarsi del contesto sociale e linguistico cui era destinata», in modo «da rivedere giudizi e modificare conclusioni» davanti a nuovi riscontri. Insomma, di un critico speciale, con la pagina sempre aperta, il cui motto era: «La verità sta nella ricerca della verità».
Speciale come critico, s’è detto. Ma anche come uomo. A Bologna, soprattutto nell’ambiente universitario, Guido Guglielmi godeva di grande popolarità, nonostante fosse piuttosto schivo e vivesse isolato, immerso nei libri. «Lo studioso del sottosuolo», lo chiamava qualcuno più informato. Quando viveva in via Guido Reni, infatti, il critico aveva lo studio nel seminterrato dell’abitazione; al centro, un tappeto incrostato di mozziconi di sigarette. Volumi dappertutto, in un disordine apparente; perché al momento di cercarne uno, sapeva dove mettere le mani. Se Guido non era a casa o all’università, lo si trovava in libreria a sfogliare gli ultimi arrivi. Sino a quando decideva di acquistarne qualcuno, appena finito di leggere in piedi.
Qualcuno dei suoi allievi lo vedeva nei panni di Zeno Cosini, personaggio de La coscienza di Zeno di Italo Svevo, perché trovava in lui una sorta di sdoppiamento: aderenza straordinaria ai testi e adesione svagata alla vita.
Come Roberto Longhi, Guido Guglielmi aveva un rapporto privilegiato con loro. «Amava dialogare con gli studenti. Leggeva un testo? D’un tratto si interrompeva. Lunghe digressioni per poi tornare al punto di prima», ricorda la Lorenzini. L’aneddotica si spreca.
Pare che di Guido esistano solo due o tre fotografie. Quella più grande, lo riprende nel campus della Yale University (dove teneva corsi semestrali), con l’impermeabile bianco, sdrucito, che non cambiava da circa un decennio. Il vestiario non faceva parte dei suoi interessi. Se un amico gli segnalava che in quel momento indossava due calze diverse, rispondeva: «Che cosa vuoi che interessi a un uomo libero».