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 2016  maggio 03 Martedì calendario

Ecco cosa vuole fare Andrea Bonomi dopo essersi preso la Valtur

Tredici aziende (per ora) in portafoglio, 5 miliardi di fatturato, uno di margine operativo lordo e 2,5 di cassa. Con questi numeri Investindustrial, se fosse un gruppo industriale quotato, farebbe gola a molti investitori. «La qualità delle aziende e dei loro manager è molto importante, ma per realizzarne le ambizioni sono essenziali le competenze dei nostri 75 colleghi che da New York a Shanghai lavorano al supporto dei progetti aziendali guidati da 7 partner di grande esperienza come Dante Razzano e mio fratello Carlo».
Non nasconde la propria soddisfazione Andrea Bonomi quando racconta i numeri e la storia di Investindustrial, società di investimento nata per volontà dello stesso Bonomi, nel 1990 come divisione di private equity di BI-Invest, la holding di famiglia. «Più che una società di investimento ci vediamo come un gruppo industriale. Anzi come un’azienda che aiuta le altre a funzionare».
GlobalizzazioneMantenere il conto delle società presenti nel portafoglio non è semplicissimo: il gruppo è costantemente alla ricerca di possibilità per crescere e far crescere. L’ultima arrivata è Valtur ( closing annunciato ufficialmente giovedì scorso). Investindustrial ne ha rilevato il 90% per 100 milioni, lasciando la rimanente quota nelle mani dell’attuale amministratore delegato Franjo Ljuljdjuraj, e si è subito messa al lavoro aggiudicandosi anche la gestione del Tanka Village, resort nel Sud della Sardegna. «Si tratta di una prima tappa – precisa Bonomi —. Il nostro obiettivo è creare il leader nel turismo made in italy nel Mediterraneo. Valtur è destinata a crescere anche con acquisizioni, puntiamo nei prossimi anni a più che raddoppiarne le dimensioni». La strategia del gruppo del resto è sempre stata questa. Concentrarsi su società (possibilmente italiane) con manager «esperti e moderni, con ambizioni serie per l’azienda, rivolte ai mercati esteri. Persone che conoscano il business di cui si occupano e abbiano una concreta idea di dove vogliono arrivare» precisa Bonomi. È in questo segmento preciso che si è posizionata Investindustrial: «Si tratta di dare la possibilità alle società di aprirsi alla globalizzazione, in particolare a società che operano in un contesto di mercato frammentato, così da creare un polo che sia in grado, a sua volta, di crescere per aggregazioni», spiega Bonomi. Come ha fatto Flos, azienda celebre per le lampade di design, entrata nella galassia di Investindustrial nel 2014 e che a marzo dello scorso anno ha acquisito Ares, altra azienda italiana di illuminazione e Lukas negli Stati Uniti. Investire, consolidare e aggregare.
Con un importante distinguo. «A differenza dei fondi di private equity tradizionali, non ci limitiamo a mere operazioni finanziarie. Basta solo valutare le nostre tempistiche – fa notare il manager —. Rimaniamo in una società anche per dieci anni, quando valutiamo un’acquisizione pensiamo infatti ai due o tre successivi piani triennali che potremmo sostenere».
Tempistiche lunghe dunque che permettono uno sviluppo costruttivo e non solo speculativo. E poi? «Poi le alternative sono due. Portare le società in Borsa (e le aziende in portafoglio sarebbero quasi tutte quotabili), oppure venderle a chi è in grado di garantire un loro ulteriore processo di crescita. Spesso si tratta di società globali, più competitive di quelle italiane per cassa e dimensioni».
Made in ItalyCome è successo a Ducati, acquisita nel 2006 e rivenduta nel 2012 ai tedeschi di Audi, dopo aver avviato un percorso di globalizzazione che ha portato la società a espandersi in nuovi mercati tra cui Brasile, Cina e India. Ducati è un buon esempio di quanto il marchio e il made in Italy possono valere sul mercato. «La globalizzazione è una sfida fantastica per le imprese italiane, anche di dimensioni più modeste di Ducati. E possono uscirne vincenti a patto di continuare a innovarsi e rinnovarsi». Anche al traino delle grandi imprese, italiane come straniere. È il caso di Aston Martin, nel portafoglio di Investindustrial dal 2013, i cui principali componenti, sono realizzati da imprese italiane, tra cui spiccano Brembo, Brugola, Pirelli, Graziano, Zagato.
«Cerchiamo sempre di incentivare le realtà italiane. E in effetti dietro un prodotto di lusso c’è quasi sempre la mano del made in Italy», commenta Bonomi. Dalla ricerca all’ hi-tech, le possibilità di crescere sono tantissime «e non serve essere per forza un’azienda main stream del made in Italy» precisa Bonomi. Come Chicco, società del gruppo Artsana di cui Investindustrial ha annunciato l’acquisizione del 60%. Nome forte in Italia, meno all’estero con un potenziale immenso di crescita soprattutto negli Usa e in Asia dove il tasso di natalità è più alto. Non solo. «Con Artsana abbiamo acquisito anche quella parte di ricerca e sviluppo, da sempre presente nell’asset industriale della società con Pic, nato con le microsiringhe per il diabete. Per aiutare Chicco negli Stati Uniti per esempio stiamo rafforzando notevolmente l’ufficio di New York con ex manager di Luxottica». Archiviata Valtur, si ricomincia. «Siamo al lavoro in questi giorni su un’ulteriore operazione nel settore industriale che porterebbe il gruppo che la sta realizzando a raddoppiare il fatturato. Nascerebbe così un leader veramente globale».