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 2016  maggio 03 Martedì calendario

Per sapere cos’è la bellezza basta guardare un po’ di sport

Ci sono gesti che sono arte, prima di diventare sport. Il salto ventrale nell’alto, quel fare l’amore con l’asticella cui un americano dell’Oregon, l’ingegnere civile Dick Fosbury, impose la rivoluzione copernicana nell’anno che ribaltò – oplà, a pancia in su – l’atletica: correva, con una fretta del diavolo, il 1968. E ancora il tocco di velluto di Gianni Rivera, la veronica di Adriano Panatta, un ghirigoro sul ghiaccio (uno qualsiasi) di Carolina Kostner. E ci sono forme d’arte profondamente innamorate dello sport. L’estetica del gesto è il ponte che unisce chi esegue e chi guarda. «Lo sport può essere un perfetto veicolo di apprendimento del significato di bellezza» annuncia il professor Stefano Zecchi, guru del dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano: «Il brutto è più facile da capire, arriva subito. La percezione della bellezza invece richiede cultura e finezza: non è innata, però può essere educata».
Ogni disciplina ha la sua chiave di lettura: bellezza è la smorfia di fatica di Coppi e Bartali nel ciclismo, la potenza controllata dello slalom di Tomba, la bracciata senza peso della Pellegrini. Nella concezione leopardiana la bellezza non è democratica però il gesto sportivo ha una forza iconografica che travalica epoche e continenti, generi e egualitarismi. E non parliamo solo del gesto classico: chi non ricorda il pugno guantato della pantera nera Tommie Smith sul podio dei 200 metri a Città del Messico 1968? O il cartellino rosso sventolato in faccia a Francesco Totti dall’arbitro Byron Moreno al Mondiale 2002, un totem piantato dentro il dramma collettivo che condannò l’Italia di Trapattoni? Gesti che hanno la stessa potenza evocativa di un movimento eseguito a regola d’arte: «La forza del gesto affonda le radici nelle fondamenta mitiche che ne stanno all’origine – spiega Zecchi —. Il valore mitico e simbolico, come se lo sportivo fosse un eroe in battaglia, è il senso più alto di una qualità raggiunta. L’eccezionalità di una prodezza sportiva incanta, stupisce, meraviglia». E chi non vuole essere continuamente incantato, stupito, meravigliato?
I calciatori di Guttuso «Lo sport è un fatto culturale, legato al comportamento – sostiene il professor Alfredo Calligaris, preparatore atletico della grande Inter di Helenio Herrera, uno dei padri della medicina sportiva in Italia —. È tra le prime forme di globalizzazione del senso estetico: parla dappertutto lo stesso linguaggio e sa suscitare emozioni». Ed è in grado di accendere il grilletto dell’ispirazione degli artisti: i virtuosismi muscolari dei calciatori di Renato Guttuso, privi di volti anche se corpi e maglie sono ben definiti, sono del 1965 e non possono non risentire del gesto vigoroso ed elegante che – a quel punto – da molti decenni si è imposto come icona del calcio italiano. È il 15 gennaio 1950 quando, all’ottantesimo minuto di Fiorentina-Juventus, il difensore piemontese della Signora Carlo Parola si esibisce nella rovesciata per antonomasia, il parametro con cui da quell’istante in poi verrà misurata ogni acrobazia tra terra e aria di qualsiasi bipede in parastinchi. La sublime bellezza del calcio anni luce prima dell’atletismo di Ibrahimovic. Corrado Banchi, fotografo maremmano autore dello scatto, racconterà così quel frammento di sport impastato di storia: «Parte un lancio di Magli verso Pandolfini. Egisto scatta, tra lui ed il portiere c’è solo Carlo Parola; l’attaccante sente di potercela fare ma il difensore non gli dà il tempo di agire. Uno stacco imperioso, un volo in cielo, una respinta in uno stile unico. Parte l’ovazione».
Un colpo di reni in acrobazia che rimane conficcato nella cronaca spicciola di una partita dimenticabilissima (finita 0-0) e che nessuno, all’epoca, può immaginare che verrà immortalato da centinaia di milioni di album e bustine di figurine Panini in tutto il mondo.
Sindrome di Stoccolma
La bellezza del gesto – dalla corsa imperiosa e liquida di Usain Bolt al manuale dei fondamentali del tennis di Roger Federer, dal dribbling sull’ultimo difensore con tocco sotto davanti al portiere di Leo Messi al tiro da tre in sospensione di Kobe Bryant che, galleggiando, sembra sfuggire a tutte le leggi della fisica – è la sindrome di Stoccolma che colpisce come una malattia i fotografi dello sport. Roby Schirer: «Calcio e ciclismo meglio si prestano ad essere rappresentati perché hanno una componente che li determina e li accomuna: il pubblico. Sono le persone che fanno l’evento sportivo, non solo gli atleti. Il Giro d’Italia ne è la massima espressione. Il ciclismo rimane lo sport più bello da essere fotografato perché racconta la storia non solo dell’evento ma delle strade che vengono percorse, della gente». Aldo Liverani: «Il ciclismo, è vero, ha un continuo riciclo di soggetti – atleti e fan – e luoghi. Ma per me il massimo, lo sport dove atleta e gesto mi davano la miglior resa, è la boxe. Quelle facce di gomma rotte dai pugni, il sudore che macchia il ring, i corpi tesi… sono una storia già scritta».
Dalla statua di Mirone al cd
Ne hanno fatta di strada, i gesti dello sport, dal Discobolo di Mirone, illuminato anello di congiunzione tra paraclassico e classico. «Nel Terzo Millennio il disco è diventato un cd: si è digitalizzata l’idea di bellezza» è la tesi affascinante di Marino Niola, sociologo e antropologo. «Per gli antichi la bellezza era l’aspetto visibile dell’armonia e della bontà, l’equilibrio perfetto tra statica e dinamica. Oggi, invece, la bellezza nello sport contiene un concetto performativo: è la rottura dell’equilibrio». Tesi e antitesi. Il parametro si è capovolto. «Non a caso – spiega Niola – spesso l’esultanza degli atleti, ma anche dei tifosi, ha qualcosa di isterico». Il gesto atletico di oggi, rispetto al Discobolo, ci parla di una società competitiva, che mette le persone e le fazioni una contro l’altra. Cosa sopravvive dell’icona Discobolo? Chi ne incarna la versione 2.0? «Diego Armando Maradona. Certo l’argentino non rispondeva ai canoni classici di bellezza fisica, però quale equilibrio miracoloso in quel piede mancino…». Gianni Brera lo chiamava il divino aborto. «Maradona che segna scartando tutta l’Inghilterra al Mondiale ‘86 è l’eroe antico. È due in uno». E oggi? «Oggi Discoboli sono Bolt, Federer, Totti, che con l’età ha acquisito una sorta di bellissima sapienza, un patrimonio che nessun altro calciatore possiede». Dall’antica Grecia a Porta Metronia.
Il pugile di Skopas e il baby di Akron L’ultima scoperta è del 1996: nel mare di un’isola nell’alto Adriatico, in Croazia, durante un’immersione subacquea un turista scopre l’atleta di Lussino, colto nell’atto di detergersi da sudore e polvere con uno strigile. «La bellezza del corpo nudo d’atleta, reso immortale dall’eleganza del gesto, è evaporata nella banalizzazione commerciale e pubblicitaria della nudità, perdendo del tutto il significato di purezza, bellezza interiore e innocenza» dice lo storico dell’arte Carlo Bertelli: «Lo sport oggi è contaminato: nasconde aspetti brutali legati al doping, alle scommesse, al business eccessivo. Nell’Eneide, il premio dei giochi funebri in memoria di Anchise è una palma. La bellezza del gesto, per gli antichi, era nell’onestà dei giocatori. I grandi auriga erano le stelle dello sport, l’equivalente degli attuali calciatori di cartello».
Nello sport moderno bisognoso di pulizia ed etica, isola felice in un mare inquinato, sopravvive l’incanto del gesto puro, portatore sano di emozione e immortalità. Una parata plastica di Gigi Buffon che vale il quinto scudetto consecutivo della Juventus. La funambolica perversione di un tuffo di Tania Cagnotto, tanto più bello quanto più contorto e avvitato, in caduta libera verso i Giochi di Rio. Il colpo di reni da umano con le ossa cave di Gianmarco Tamberi, l’altista marchigiano che studia da nuovo Javier Sotomayor. Il saluto della scherma è il doveroso atto di cortesia verso l’avversario, antico quanto la disciplina, il rituale che la più grande schermitrice della storia appena giunta al passo d’addio – Valentina Vezzali – ha ripetuto uguale a se stesso per vent’anni di carriera, facendone l’architrave di un sistema chiuso di bellezza centripeta, accoccolata come un gatto nei 14 metri della pedana. «Non avrei mai potuto dimenticarmi il saluto, prima di un assalto – conferma la campionessa —. È la prima cosa che il maestro mi ha insegnato, è il valore assoluto attorno a cui ruota la mia disciplina». È la bellezza solenne della tradizione: chi non fa il saluto o lo esegue male, rischia una penalizzazione.
Dal pugile di Skopas al cestista di Akron, Ohio, il nuovo idolo dell’Nba Stephen Curry. 2461 anni di grande bellezza (sul playground).