Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 01 Domenica calendario

A proposito di Matteo Orfini

Da tempo sosteniamo che Matteo Orfini sta a Matteo Renzi come Molotov stava a Stalin. E non perché abbia il physique du rôle del gerarca sovietico, anzi: per restare in tema, don Camillo l’avrebbe chiamato “quella mezza porzione di prete”, tanto è minuto ed esangue. No, il parallelo con Molotov, ovviamente in sedicesimo, nasce osservando come lo tratta Renzi e a quali figure barbine lo espone. Pare che il premier-segretario si diverta ad aspettare che parli il presidente, per poi fare l’esatto contrario: così tutti pensano che il Matteo Minor sia l’unico presidente di partito che ignora quel che fa il suo partito. Come se non ne fosse il numero 2, ma un pelo superfluo. Un soprammobile. Una pianta grassa, anzi magra. E non è detto che sia una sfortuna: Molotov, considerato dal Politburo un mezzo idiota, non decideva nulla né sapeva nulla, ma questo lo mise al riparo da tutte le purghe, che infatti sterminarono tutti gli uomini più vicini a Stalin, tranne lui. Nel suo famoso Rapporto al XX Congresso del Pcus, Kruscev raccontò che, quando Baffone era un po’ nervoso, convocava Molotov nel suo ufficio e lo prendeva a calci nel sedere finché non si era sfogato. E quello, detto Culo di Piombo, non faceva una piega: si prendeva la sua razione quotidiana di pedate senza fiatare, ringraziava e si ritirava in buon ordine fino alla nuova scarica. E passò indenne tra le varie epurazioni come la salamandra nel fuoco, fino a morire – rara avis – nel suo letto alla veneranda età di 96 anni, dopo aver servito tutti i regimi.
Così, mutatis mutandinis, Orfini: dalemiano con D’Alema, bersaniano con Bersani (“Io la penso in maniera diametralmente opposta da Renzi: meglio Vendola”), lettiano con Letta, cuperliano alle primarie di Cuperlo, renziano con Renzi, domani chissà. L’altro ieri, per dire, Culetto di Piombo rassicurava i giornalisti sull’incontro tra i vertici del Pd (a cui naturalmente il presidente non era invitato) e il trio di Ala Verdini-Barani-Abrignani (8 processi e un’archiviazione in tre). E, nel farlo, aveva l’aria di quello che la sa lunga, al corrente degli arcana imperii inaccessibili a noi comuni mortali: “È un incontro tra gruppi parlamentari sull’agenda parlamentare, Guerini ha già chiarito che non è l’ingresso di Ala in maggioranza. E nemmeno l’appoggio esterno, che non mi risulta”. Ecco: se ci fosse qualcosa, gli risulterebbe, ma siccome non gli risulta, non c’è nulla. E ha detto tutto, non fategli aggiungere di più: “Non è un incontro per definire l’agenda, ma per confrontarsi sull’agenda politica”.
Ecco: non per definirla, ma solo per confrontarvisi. E lui l’agenda la conosce a memoria, ci mancherebbe, anzi la porta sempre in tasca: una Nazareno Verdinelli in pelle nera. Poi purtroppo i protagonisti del summit (Orfini escluso, s’intende) raccontano che Verdini à his friends saranno consultati su ogni legge ed emendamento. Cioè sono entrati anche ufficialmente in maggioranza. Ecco perché a Orfini non risultava l’appoggio esterno: perché è interno. Infatti Ala presenterà la sua lista in Campania a sostegno della candidata Pd Valeria Valente. Che proviene dai “giovani turchi”, la corrente di Orfini. Sarebbe davvero spiacevole se si scoprisse che non gli ha detto nulla, o che gli ha disobbedito pure lei. Già, perché il 3 marzo Culetto di Piombo aveva parlato chiaro: “Verdini, se vuole, convinca la destra a organizzarle, le nostre sono off limits”. E aveva aggiunto di non volerlo proprio vedere, quel Denis, dalle parti del Pd: che li regalasse alla destra, i suoi voti maleodoranti. E invece eccolo lì, alleato e riverito. Chissà di che parlano, il Matteo Minor e il Maior, quando il secondo chiama il primo a giocare alla Playstation o a calciobalilla, nell’ambito ruolo che fu del rag. Ugo Fantozzi al torneo di biliardo con l’On. Cav. Conte Diego Catellani, Gran Maestro dell’Ufficio Raccomandazioni e Direttore dell’Ufficio Sinistri (con la differenza che Fantozzi, in un sussulto di dignità, vinceva la partita: invece il rag. Orfini, con il Pres. Renzi, perde sempre). Sadico com’è, anziché concordare con Orfini le alte strategie, o almeno informarlo a cose fatte, il premier lo manda allo sbaraglio per poi, regolarmente, smentirlo.
“Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica”, tuona Culetto di Piombo l’8.4.2015: subito dopo Renzi conferma De Gennaro a Finmeccanica. “Il Pd voterà per l’arresto di Azzollini”, annuncia Orfini l’U.6: infatti il Pd lo salva dall’arresto. “Cacceremo i corrotti, chi è contro Marino è con Mafia Capitale”, proclama il Matteo Minor il 5.6: undici giorni dopo il Maior attacca Marino. Ma a Orfini non risulta: “La fonte di legittimazione sono i cittadini elettori romani, Marino non può andarsene perché lo decidono Orfini e Renzi”: pochi giorni dopo Marino se ne va perché l’ha deciso Renzi. I giornali raccolgono le lacrime ufficiose di Orfini in quei giorni di tregenda: “Matteo, io ci metto la faccia, non puoi umiliarmi così”. Alla parola “faccia”, stavolta è Renzi a dire che non gli risulta: “O se ne va Marino o te ne vai tu”. Così Orfini deve radunare i consiglieri Pd e fargli firmare la sfiducia: non in Campidoglio, che pare brutto, ma dal notaio. A gennaio, pensando di farne una giusta, cavalca il caso Quarto contro i 5Stelle chiedendo le dimissioni della sindaca Rosa Cappuozzo e, già che c’è, pure di Luigi Di Maio: l’indomani il premier si fa due conti, pensa a tutti quelli del Pd che dovrebbero dimettersi, e in preda all’horror vacui dice che non se ne deve andare neppure la Capuozzo. Il centesimo calcio nel sedere. Ma ormai, a furia di prenderne, Culetto di Piombo non li sente neanche più: non gli risultano.