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 2016  aprile 30 Sabato calendario

I veri conti di Inter e Milan. Ecco perché i cinesi vogliono entrare nei club milanesi

Lo scorso 15 aprile la Coppa dei Campioni è tornata a Milano. Ma i tifosi di Milan e Inter dovranno accontentarsi di guardarla nell’esposizione allestita dal sindaco Giuliano Pisapia a Palazzo Marino in vista della finale di Champions League, che si terrà a San Siro sabato 28 maggio. Nel 2003, di questi tempi, le due squadre di Milano si contendevano la finale di Manchester nel primo euroderby della madonnina.
Passarono i rossoneri, grazie all’1-1 strappato in casa dei nerazzurri (gol di Shevchenko e Martins), e qualche settimana più tardi si laurearono campioni d’Europa battendo la Juventus  ai rigori. Poi vennero le Champions del 2007, l’ultima delle 5 conquistate dal Milan sotto la presidenza di Silvio Berlusconi, e quella del 2010, con lo storico triplete nerazzurro griffato José Mourinho. Da allora sembra passato un secolo. Milano, la città europea che, assieme a Madrid (ma Real e Atletico quest’anno sono ancora in corsa), può vantare più coppe dei campioni vinte (le 7 del Milan e le 3 dell’Inter), anche il prossimo anno dovrà accontentarsi di guardare la Champions League in tv.
I rossoneri (che devono ancora conquistare in questo ultimo scorcio di stagione il diritto di disputare l’Europa League) non parteciperanno alla Champions per la terza stagione consecutiva.
Mentre per l’Inter sarà addirittura il quinto anno lontano dall’Europa che conta (anche dal punto di vista finanziario). La delusione che serpeggia tra i tifosi dei due club, anche a fronte della vittoria del quinto scudetto consecutivo da parte della Juventus, ha dunque ragioni fondate. Tuttavia, il concreto interessamento da parte di alcuni gruppi industriali cinesi per le due società milanesi sta rafforzando la speranza di interisti e milanisti di poter tornare presto competitivi sul campo. Il mantra che i supporter italiani hanno ascoltato in questi anni è che senza capitali non si vince. Sta quindi crescendo l’attesa messianica per l’arrivo del tycoon di turno, capace di fare con Milan e Inter quanto fatto da sceicchi arabi e oligarchi russi con Psg, Manchester City e Chelsea.
Ma i soldi dei cinesi servono davvero a Milan e Inter per rilanciarsi in Italia e in Europa? O serve invece un progetto sportivo e industriale a medio-lungo termine? Il Milan, che ha chiuso l’ultimo bilancio con una perdita netta di 89,3 milioni (91,3 milioni nel 2014) a fronte di ricavi in calo a 221 milioni, un proprietario che i soldi li ha messi e li sta ancora mettendo l’ha già e si chiama Silvio Berlusconi.
Negli ultimi tre anni Fininvest, la holding di famiglia dell’ex premier ha versato nelle casse del Milan circa 270 milioni, di cui 150 solo nel 2015, facendo lievitare il totale speso in 30 anni di presidenza a 865 milioni. Se ci si dovesse basare solo sulle disponibilità patrimoniali della proprietà, dunque, i presupposti per raddrizzare le cose sia dal punto di vista finanziario sia da quello sportivo ci sarebbero. Il problema è che i soldi, come lamenta da anni una fetta consistente della tifoseria, non vengono spesi bene. Ma questo sembra importare più ai figli di Berlusconi, in particolare a Marina, e alla dirigenza della Fininvest, che sarebbero ben felici di uscire dal business del calcio, che al presidentissimo rossonero.
In casa Inter la situazione sembra essere un po’ più intricata. L’epopea della presidenza di Massimo Moratti (1,27 miliardi spesi per la Beneamata dal 1995 al 2014) si è chiusa con l’arrivo nell’autunno del 2013 dell’indonesiano Erick Thohir. Ma quest’ultimo si è trovato a fronteggiare una situazione debitoria complicata, imbrigliato in una governance barocca, che gli ha fin qui impedito di mettere nuovi capitali nel club. Moratti è infatti rimasto azionista con il 30% e, per non veder diluita la propria quota nell’ambito di un aumento di capitale, ha di fatto forzato Thohir a finanziare l’Inter attraverso prestiti da parte delle proprie società. Ciò ha fatto formalmente aumentare l’indebitamento del club che, ormai al terzo anno di presidenza dell’indonesiano, non ha ancora completato quel processo di risanamento finanziario e di rilancio sportivo che i tifosi si aspettavano. Il piano di crescita dei ricavi, attraverso un’importante azione commerciale sui mercati asiatici, che doveva essere l’asso nella manica di Thohir, non sembra ancora essere stato implementato e l’Inter continua ad avere un importante gap in termini di fatturato non solo nei confronti della Juventus, che beneficia dei proventi della Champions (204 milioni nelle ultime 3 stagioni) ma anche dello stesso Milan, che le coppe non le gioca da due anni.
Eppure, almeno per quanto riguarda il campionato, le recenti prestazioni, non certo all’altezza del proprio blasone, da parte di Inter e Milan non possono essere giustificate guardando ai ricavi. Rispetto alle altre squadre di Serie A, le due milanesi, così come la stessa Juve, hanno una posizione privilegiata assicurata dall’attuale sistema di ripartizione dei diritti tv (che premia i club con più tifosi e dunque più audience). E anche sul fronte delle sponsorizzazioni, sebbene lontane dalle vette toccate dai top club europei come Manchester United e Real Madrid, le due milanesi non hanno niente da invidiare alla Juventus. Anzi, bilanci alla mano, in tema di ricavi commerciali il Milan è ancora la società che incassa di più in Italia (82,75 milioni nel 2015 contro i 53,76 milioni dei bianconeri). Il gap rispetto a società come Fiorentina, Napoli, Roma (si veda l’infografica a pagina 15), che nelle ultime stagioni sono quasi sempre arrivate davanti a Inter e Milan, è ancora ampio. Proprio per questa ragione, «è inconcepibile arrivare dietro». Questa era la critica che due anni fa Barbara Berlusconi aveva mosso alla gestione di Adriano Galliani. Una critica poi riposta nel cassetto in segno della pace armata imposta da papà Silvio. Dopo quell’armistizio, che di fatto ha segnato la vittoria di Galliani, la crisi rossonera è stata inarrestabile. Ma prima ancora che una crisi finanziaria, quella del Milan continua a essere una crisi di governance con conseguenze importanti sulla performance sportiva e in ultima istanza sul bilancio. È per questo motivo che i supporter del Diavolo, nella consapevolezza che il legame tra Berlusconi e Galliani è ormai indissolubile, tifano per il cambio di proprietà.
Diverso il caso dell’Inter. Sebbene il progetto tecnico nerazzurro sembri meglio definito rispetto a quello dei cugini, per portarlo a compimento sono necessari ulteriori investimenti. Ma tra l’esposizione debitoria e vincoli imposti dalla Uefa con il fair play finanziario i margini sono stretti. Da questo punto di vista i colloqui in corso tra Thohir e il Suning Commerce Group, uno dei più grandi rivenditori di elettronica della Cina, se dovessero concretizzarsi con l’ingresso dei cinesi nel capitale con il 20%, potrebbero dare una boccata d’ossigeno alle casse nerazzurre. Il biglietto d’ingresso dovrebbe essere di circa 80 milioni e l’Inter potrebbe contare per il futuro su un partner commerciale con una presenza diffusa sul più grande mercato asiatico, che in un futuro non troppo remoto potrebbe anche prendere la maggioranza (Thohir ha però negato la sua volontà di disimpegno).
Ma se prima di vedere i frutti dell’espansione commerciale bisognerà aspettare anni, l’obiettivo di entrambe le milanesi resta quello di tornare nel più breve tempo possibile in Champions League. L’esperienza della Juve  in questo caso è emblematica. Il segreto del successo della società bianconera, che rimane saldamente in mani italiane (quelle della famiglia Agnelli-Elkann), non deriva tanto dall’impatto dello Juventus  Stadium o delle strategie di marketing sui conti del club, quanto da un progetto tecnico di successo. Un progetto che si sta autoalimentando proprio grazie alle risorse che i bianconeri incasseranno anche quest’anno dalla Uefa (altri 75,5 milioni nel 2015/16 nonostante l’eliminazione con il Bayern).