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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Sergio Cammarelle è sceso dal ring

Un monumento scende dal ring per sempre. Un ragazzo d’oro che riceve il guanto d’oro a una carriera che si spegne dove s’era accesa nel 1995. Roberto Cammarelle: mano pesante e faccia pulita. Il supermassimo che sbriga in 9’ l’ultimo compito con la solita tecnica e quel sinistro che ha fatto molto male. Il 22enne parigino di origine marocchina, Ahmed El Gazi, non ha certo il palmares del supermassimo milanese (230 match contro 25) e solo un decimo delle sue vittorie (20). Nove minuti tutti da vedere e poi la festa finale: con un grande grazie collettivo. Un solo urlo che rimbomba, «Roberto, Roberto» e tanti cori per il 35enne che si ritira. L‘ultimo successo con verdetto unanime è il compendio a una vita da pugile che Cammarelle ha saputo interpretare senza sbavature e solo un piccolo rimpianto (non aver vinto l’oro europeo). Il campione dei tre podi olimpici (oro a Pechino) e dei quattro mondiali (due ori), dei dieci titoli italiani interpreta gli ultimi gesti, combatte per l’ultima volta, porta l’Italia su 4-3 e si congeda dal suo pubblico, dai suoi compagni. «È finita e sono contento: lascio a voi ragazzi un’importante responsabilità, fare bene subito ai Giochi di Rio e fate bene nel futuro per onorare altri 100 anni di boxe. Spero ne sia valsa la pensa, in questo sport ne vale sempre la pena». Prende il centro del ring, la mano destra nel cuore e un saluto ai figli Davide e Mattia e alla moglie Nicoletta «che mi ha supportato e ora mi dovrà sopportare». Da luglio diventerà per la terza volta papà, da lunedì direttore tecnico delle Fiamme Oro.
Una serata per un gigante. Con tutti quei pugili insieme a invadere il ring, quei pugili coi quali ha condiviso trasferte, match e medaglie. C’è Mirco Valentino, il reuccio dei leggeri che con Roberto è sempre stata in camera e a Milano 2009 festeggiò insieme a lui il titolo ridato; «Prima di Roberto il mio idolo era De La Hoya, poi ho avuto solo un riferimento e anzi da quando non sto più in camera è come se avessi persi la forza. Un campione mostruoso, un idolo». Ci sono Lello Bergamasco e Maurizio Stecca per l’ultima volta all’angolo: «Avrebbe potuto far bene anche a Rio, ma ormai era nel mirino dei giudici dopo Londra: questo è il vero rammarico, aveva vinto nettamente contro il britannico Joshua». Come aveva vinto sicuramente in due occasioni su quattro agli Europei contro Povetkin. «Ma ero russo quello lì...» ricorda Biagio Pierri, il maestro di una vita a Cinisello Balsamo. C’è Francesco Damiani, uno che ha vissuto all’angolo le sue grandi conquiste: «Lo premiai la prima volta a 13 anni ai Giochi della Gioventù, un campione come lui nasce ogni 30». C’è Vincenzo Mangiacapre, col quale ora condivide la residenza ad Assisi: «In 5 anni di Nazionale mi ha insegnato la mentalità vincente, a rialzarmi sempre». Ci sono Igor Cassina, Oreste Perri, Antonio Rossi. C’è mamma Giovanna che da oggi «non avrò più paura che si faccia male: è stato tenace, ha fatto tanti sacrifici e ha vinto tutto, quante soddisfazioni...». Lui scende dal ring mandandole un bacio. Chiamatele emozioni.