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 2016  maggio 01 Domenica calendario

Centocinquant’anni fa nasceva Il Sole con il motto «Per tutti splende»

1865: un cavo telegrafico mette in collegamento l’America e l’Europa. 1865: il re Vittorio Emanuele II si insedia a Firenze. 1865: in Italia vengono promulgati il primo codice civile e il codice del commercio. 1865: muore Giuseppe Francesco Agnelli, nonno del fondatore della Fiat. 1865: nasce «Il Sole» con il motto «Per tutti splende». Anno chiave, insomma, quello in cui nacque «Il Sole». Le comunicazioni internazionali si avviano a essere istantanee. L’Italia sabauda si avvia, in attesa di acquisire la Roma papalina, a spostare la sua capitale verso il centro, a Firenze. Vengono alla luce le ’infrastrutture giuridiche’ dell’economia italiana: codice civile e codice del commercio. Malgrado la scomparsa di Giuseppe Francesco il ramo imprenditoriale della famiglia Agnelli continua il suo corso: il figlio Edoardo ha 34 anni e l’anno dopo – nel 1866 – nascerà Giovanni, il cofondatore della Fabbrica Italiana Automobili Torino. 
Ma quale Italia è quella del 1865? Senz’altro, è dieci volte più ’dualistica’ di quella di oggi. L’Unità del 1861 recava ancora molti tratti di ’disunione’. A cominciare dalla lingua: Tullio De Mauro ha stimato che al momento dell’Unità la percentuale della popolazione in grado di parlare italiano fosse pari al 2,5%, includendo, oltre a coloro (meno dell’1%) che avevano frequentato la scuola postelementare, i toscani e i romani, ammessi per contiguità dei loro dialetti alla lingua comune. Anche se altre stime hanno allargato i confini, per la verità un po’ porosi, di queste stime, è chiaro come avesse ragione Massimo d’Azeglio quando diceva che “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”. «Il Sole» nasce a Milano, nella città più avanzata, dove sobbollono fermenti culturali, iniziative imprenditoriali, intensi dibattiti politici, e subito si schiera, come racconta Salvatore Carrubba ne «I 150 anni del Sole 24 Ore», in favore della libertà d’intrapresa: nel numero del 27 agosto «un ’Don Marzio’ avrebbe spiegato compiutamente la scelta della testata e del sottotitolo di accompagnamento: “Il Sole” è un giornale che deve illuminare e scaldare la libertà. Gli è per questo che si vede in testa il vecchio proverbio francese: “Le soleil luit pour tout le monde”, per indicare che nella moderna società vi sono vantaggi ai quali tutti gli individui hanno il diritto di partecipare». Ma l’Italia non era solo quella dell’operosa Lombardia, dove – lo ha ricordato Roberto Napoletano in un articolo del 9 novembre scorso volto a celebrare il sesquicentenario del Sole 24 Ore – l’editore milanese Francesco Vallardi si rivolge più di un secolo e mezzo fa al commerciante di sete, Gaetano Semenza, emigrato a Londra e impegnato a reperire capitali britannici nella City per la costruzione delle prime linee ferroviarie sarde, per associarlo a «Il Sole»: «Credo che Ella presterà il concorso del suo peculio, quanto della sua intelligenza, procurando al giornale azionisti e buona corrispondenza da codesta Metropoli della mercatura e del denaro». L’Italia non era solo quella di una Milano che si avviava a essere anch’essa «Metropoli della mercatura e del denaro». Basta andare a leggere – o rileggere – quel capolavoro della letteratura italiana che è «I Viceré» di Federico De Roberto. La storia, che riavvolge in un felice dipanarsi la vicenda di un’aristocratica famiglia sicula e i grandi avvenimenti che scuotono l’Italia, si sgomitola appunto a cavallo del decennio in cui nacque «Il Sole». Sembra di essere in un altro mondo rispetto al fervore milanese. Il feudalesimo dell’ambiente ancora borbonico, quei conventi in cui venivano ficcati i cadetti delle famiglie nobili, quei monaci benedettini gaudenti, una società agricola investita dai garibaldini e dal colera... 
Ma l’unificazione doveva andare avanti. E l’intuizione che stava dietro alla fondazione del nostro giornale – non ci può essere sviluppo sociale se non c’è sviluppo economico – ha accompagnato con un filo rosso la storia d’Italia. E ancora oggi, quando l’economia italiana cerca di scrollarsi di dosso una ventennale stagnazione, quell’intuizione conserva tutta la sua attualità.