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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Il lungo romanzo delle Assicurazioni Generali

Metti un pomeriggio di gennaio, anno 1877, a Trieste. Le finestre della sede delle Assicurazioni Generali tremano squassate dalla bora; il mare è coperto di creste bianche sotto un cielo grigio topo. Sui moli, velieri e piroscafi rinforzano gli ormeggi. Bandiere austro-ungariche, inglesi, turche, italiane e francesi sono strattonate dalle raffiche. C’è una folla di alberature agitate sul lungomare, il Mediterraneo sembra non essere mai stato così pieno, ma quel giorno d’inverno sbarchi e imbarchi sono momentaneamente congelati. Capita, nel ventoso porto dell’Impero. Le osterie sono zeppe di facchini, marinai e di fumo. Uomini, navi, carrucole e paranchi aspettano solo che cali la buriana. In uno studio sobriamente arredato c’è un uomo sugli ottanta, completo grigio con panciotto e farfalla, piccolo, sopracciglia forti, criniera bianca divisa in due da una fronte ampia e densa di pensieri. Alza la testa dalle carte – calcoli attuariali, polizze in tedesco, greco, cirillico bulgaro, perfino alfabeto armeno – e depone l’asticella col pennino in acciaio per alzarsi con inaspettata energia. Si affaccia sull’anticamera, chiama un impiegato ed esce con lui per imboccare un corridoio che porta nel ventre del palazzo, dove è deposto il tesoro azionario. Ha percorso cento volte quella strada. Il parquet scricchiola, i dipendenti di passaggio salutano senza ombra di servilismo. Tutti stimano Masino Levi, da quarant’anni segretario generale della Compagnia. Sanno che è un uomo schivo, capace di lavorare come pochi. Quarant’anni sono tanti. Dopo mille ripensamenti, il vecchio sente che è arrivato il momento di mollare. Non è solo la stanchezza o l’età. È che tempi grandi sono alle porte, tempi che richiedono uomini nuovi. Il secolo è a uno snodo. L’Europa cresce, governa il mondo in libertà di traffici e dopo decenni di pace relativa, interrotti solo da guerre di breve durata. Le navi a vapore, il telegrafo, il globalizzarsi delle reti commerciali, l’aggancio delle valute all’oro e la stabilità del sistema bancario dicono che per le assicurazioni sta per aprirsi una stagione di crescita incalcolabile. Il vecchio, che ha pilotato la Società in mezzo a mille tempeste – le tre guerre d’indipendenza dell’Italia contro l’Austria avrebbero potuto far saltare tutto in aria – sente che la fase di consolidamento, di cui è stato garante, è finita. Un anno dopo, a passaggio di consegne già consumato, Masino Levi prende carta e penna e scrive alla Direzione. Ma non è una lettera quella che manda. È un intero quaderno, rilegato in pelle marrone. Cinquantuno pagine manoscritte con mano ferma e commovente ordine scolastico, in cui riassume una vita al servizio delle Generali. Non avrebbe mai osato parlare di se stesso essendo in carica. Ora può farlo: non ha più bisogno di “mettersi in evidenza”. Ma è contento di sé, ha allargato l’attività della Compagnia in settori inediti, come quello rischiosissimo della grandine, ha esportato l’idea di assicurazione dal traffico navale alle semplici famiglie, ha pilotato la barca con la saggezza sparagnina di un vecchio nocchiero, ma anche con larghezza di vedute. Con lui, l’anima italiana della Società non è mai entrata in conflitto con l’appartenenza all’Impero d’Austria-Ungheria. Anzi, ha sempre tratto vantaggio dalla sua capacità di “stare in mezzo”. Il lusinghiero bilancio di Levi – cui la Direzione ha nel frattempo già dedicato un busto in marmo, onore concesso raramente ai vivi – è riassunto in calce da una decina di pagine di cifre bene incolonnate anno per anno, con elegante scrittura e ampio margine sinistro. Vi leggi la volontà dell’uomo di sparire come persona e di far parlare le cifre, i numeri, gli utili. (…) «Molte cose dovrebbero o potrebbero essere fatte meglio, ma dal complesso delle risultanze finali della mia Gerenza vorrei lusingarmi che si riconoscerà che essa raggiunse in misura eminente i due scopi principali della Istituzione, cioè l’utile pubblico colla grande importanza dei risarcimenti pagati, e quello degli azionisti i quali incassarono con annui dividendi fiorini 5.863.900 ed aumentarono il capitale di altri 1.611.325». (…) In lui non parla solo la ricerca del profitto, ma l’ultimo lampo del secolo dei Lumi, la fede illimitata nel progresso umano attraverso la libertà mercantile, intesa come affrancamento del commercio da ogni ostacolo e premessa-base di ogni felicità individuale.
Pubblichiamo un brano da Il tempo del Leone, il libro che racconta la storia delle Assicurazioni Generali.