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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Caltagirone, Malagò, i palazzinari e i circoli: come voteranno a Roma i poteri forti

Meglio dell’ultimo sondaggio riservato, della chiacchiera in terrazza o del brunch al circolo sportivo, nell’ultimo quarto di secolo c’era a Roma un metodo infallibile per fiutare l’aria politica prima delle elezioni comunali: appostarsi e scoprire quale candidato varcava per primo la soglia degli uffici di via Barberini per un incontro riservato con l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone. Quello era il favorito. A poco più di un mese dal voto nessuno dei concorrenti in lizza l’ha ancora fatto, perché i tempi cambiano, i poteri cosiddetti forti vigilano ma forse possono e vogliono meno di prima e dalla sgangherata campagna elettorale romana – intessuta di ritiri, candidature riluttanti e gazebo semi-deserti – si sono finora tenuti a distanza di sicurezza.
Il mandato berlusconiano sulla candidatura ex civica di Marchini ha però smosso qualcosa. Nei salotti ci si interroga già da ieri sera se la Roma potentona si scuoterà dall’apatia che, per una volta, l’accomuna a quella dei quartieri alla Jeeg robot: Abete che dice? E Mondello? Emmanuele Emanuele aprirà il forziere della Fondazione Roma per qualche fortunato concorrente? Presto per dirlo. Il primo a muoversi è stato Stefano Dominella, ad della maison Gattinoni e presidente della sezione tessile di Unindustria, ramo laziale di Confindustria: «Marchini ce l’avrebbe fatta anche senza Forza Italia, è l’uomo di cui c’era bisogno». Anche l’Acer, il cartello dei costruttori, si annuncia rinvigorito dalla mossa di Silvio Berlusconi. E Marchini, del resto, è l’unico aspirante sindaco che non ha bisogno di presentarsi di persona da Caltagirone. Gli basta alzare la cornetta. Con lui ha qualche vecchio affare in comune, con la minuscola, e un’amicizia di lunga data. «Mio nonno, prima di morire, mi ha detto che sei l’unico con cui devo parlare», è la frase con cui Marchini si presentò all’Ingegnere, affermazione, invero, che nella Capitale più d’uno racconta di essersi sentito rivolgere dal neo-candidato forzista.
Ma c’è da giurare che la simpatia caltagironiana per Marchini non si tradurrà in un endorsement militare. Anche la corsa di Giachetti, papabile per il ballottaggio, è vista senza ostilità. Quella è riservata a Virginia Raggi, con cui sono già state scintille su Acea, l’azienda dell’acqua e dell’energia di cui Caltagirone è il primo socio privato. Ma alle prime polemiche pubbliche è subentrato il silenzio, l’attesa, la prudenza.
All’esistenza di una trama dei poteri forti a Roma, oggi, credono solo i complottisti più vintage. Sciolta Capitalia in Unicredit, una grande banca romana non c’è più, e di banchieri “politici” come Cesare Geronzi, grande mediatore di traffici e ambizioni, nemmeno l’ombra. La Camera di Commercio, che ai tempi di Mondello e Giancarlo Cremonesi contava eccome negli equilibri del Campidoglio, è acefala. Confcommercio, di suo più sensibile al richiamo della destra, è stata commissariata due giorni fa sotto il peso dei debiti. Unindustria aspetta di eleggere il sostituto di Maurizio Stirpe, patron del Frosinone calcio e uomo di punta della nuova Confindustria, il quale si professa osservatore più che scettico sulla contesa per il Comune, tanto che gli imprenditori laziali meditano di preparare una lettera per i candidati: «E i programmi?».
Gli altri costruttori, palazzinari nella vulgata del dopoguerra, sono gonfi di case invendute ai margini del Grande Raccordo Anulare. Tutti hanno disinvestito dalla Capitale, chi per necessità come i fratelli Toti, sodali della stagione veltroniana oggi alle prese con le banche creditrici, chi per diversificare come il gruppo Salini, del quale si dice sia più interessato a capire chi prevarrà tra Sala e Parisi a Milano. E Luca Parnasi, interlocutore di tutti i governi di centrosinistra locali, nel progetto del nuovo stadio della Roma è stato affiancato, e di fatto sostituito, dai “nordisti” Pizzarotti.
Grandi affari all’orizzonte non se ne vedono, escluse le Olimpiadi 2024, che però sono ancora da guadagnare. E la volata di Raggi, contraria ai Giochi, mette ansia agli organizzatori. Naturale che agli occhi di Giovanni Malagò siano più rassicuranti le posizioni di Giachetti o di Marchini, con il quale il presidente del Coni condivide amicizie e il vezzo di portare il cane in ufficio. Raccontano che al circolo Aniene, ritrovo della Capitale che conta, il padrone di casa Malagò ostenti fiducia con quanti gli chiedono: «Giovanni, e se vince la Raggi?». Per il 9 maggio è fissato un riservatissimo incontro faccia a faccia: Malagò è convinto di poter convincere la candidata M5S della bontà del progetto. Al Canottieri Roma, invece, gli exit poll di una cena di poche sere fa raccontano di un certo fastidio per l’impronta leghista della candidatura Meloni, che pure avrebbe qualche fan ideologico. L’indecisione regna sovrana. Tanto che proprio ieri cinquanta signore dei Parioli hanno organizzato un incontro in un appartamento di viale Bruno Buozzi per domandarsi, ma poco leninianamente, che fare? La risposta pare sia stata: Raggi inaffidabile, Meloni estremista, dunque Giachetti o Marchini. Ma i dubbi, nel think tank pariolino, restano: «Marchini bravissimo giocatore di polo, ma come sindaco lavorerà davvero?».