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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Il fondo Atlante debutta con il 92% della Popolare di Vicenza

Senza il fondo Atlante da ieri assisteremmo al virtuale “salvataggio interno” della Banca popolare di Vicenza (con possibile limatura per 713 milioni di euro di suoi bond subordinati), e forse il rischio di un aumento di capitale per l’Unicredit, che poco cautamente aveva garantito la ricapitalizzazione veneta da 1,5 miliardi, negletto per circa il 92% del totale. Invece quel peso passerà al fondo consortile creato per sostenere il mondo (bancario) sulle sue spalle, e dar vita a un mercato delle sofferenze creditizie meno rapace e sottile dell’attuale perché limita il rendimento atteso a un 6,2% annuo, la metà rispetto agli operatori sui crediti malati. Ma per ora la storia è vicentina: e Atlante avrà il 92% del fu feudo di Gianni Zonin.
«Con Atlante tutta la struttura del debito della Vicenza è a zero rischio», ha detto ieri Alessandro Penati, presidente di Quaestio Sgr che gestisce il fondo da 4,25 miliardi, tutti versati da banche nazionali e assicurazioni (salvo 500 milioni di Cassa depositi). «Il fondo – ha aggiunto – ha risorse finanziarie per sostenere l’operazione Vicenza ed è il classico caso in cui c’era il rischio di bail-in che ora non c’è più». Anche se il marketing delle azioni Vicenza viaggiava lento pochi si aspettavano tanti forfait. È anche l’effetto Atlante, subentrato a Unicredit come compratore di ultima istanza a 0,1 euro per azione per scacciare le nubi addensate sul Veneto (c’è anche Veneto banca, che deve ricapitalizzare per 1 miliardo a giugno).
«Il primo scopo di Atlante è eliminare i tail risk, primi tra tutti quelli di Vicenza e Veneto, che deprimono i multipli e l’operatività di tutte le banche italiane», ha spiegato Penati. Il professore milanese avrebbe evitato d’investire a Vicenza 1,35 miliardi della dote raccolta in 15 giorni («un record storico»); ma era una partenza obbligata. Lunedì la Borsa valuterà se quotare l’istituto come previsto (il 4 maggio), aggrappandosi alle regole di Piazza Affari, per cui anche la quota di un organismo collettivo del risparmio come Atlante può considerarsi capitale flottante. Il flottante vero però è limitato all’8%: circa 5mila dei 120 mila vecchi soci popolari che hanno versato 40 milioni (2,5%), più un 6% degli istituzionali, si dice quasi tutti portati dall’advisor Mediobanca (come da promesse dell’ad Alberto Nagel nel motivare la non contribuzione ad Atlante).
Quotata o no, il destino della banca è segnato. La prima mossa sarà rivoluzionare il cda, riunito ieri dall’ad Francesco Iorio e ancora pieno di superstiti dell’era Zonin. Poi sarà ripensata l’azione di responsabilità contro i vecchi vertici, clamorosamente non votata dall’assemblea un mese fa. Frattanto Atlante – mero gestore di azioni (70%) e più avanti di insolvenze bancarie (30%) – cercherà un partner industriale tra i fondi chiusi specializzato in riassetti, per un rapido rilancio. «Per ristrutturare una banca servono tre anni – ha detto Penati – con Vicenza conto di riuscire in 18 mesi. Se poi riesco anche a uscire dal capitale in 18 mesi sono Warren Buffett. Tento».