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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Ritratto di Franco Gabrielli, dal Sisde alla Concordia, da L’Aquila alla Polizia

L’ex capo della Polizia Antonio Manganelli era un uomo di appassionate e fulminee intuizioni. Una mattina di quattordici anni fa, era allora ancora vicecapo, salutando alla fine di un pranzo, disse: «Devi conoscere il prossimo capo della Polizia. È giovane. Ma, credimi, non so quando, ma Capo lo diventerà». Era Franco Gabrielli, allora dirigente della Digos di Roma. E in quella scommessa di Manganelli era il senso di “predestinazione” che quello sbirro quarantenne si portava dietro dall’università e che lo avrebbe accompagnato, nel bene e nel male, per tre lustri. Guadagnandogli alcuni amici ma, soprattutto, diversi nemici e profonde gelosie. Classe 1960, viareggino di nascita, Gabrielli è uUno di quelli che voleva fare il poliziotto da ragazzino. Cosa che gli riesce appena uscito dall’università, quando vince il primo concorso disponibile. Dei toscani della costa ha tutto. Pregi e difetti. Ma, soprattutto una corrosiva sincerità. Come sanno bene i romani quando, nella complicata estate del 2015, lo ascoltano da prefetto mettere al suo posto il sindaco Ignazio Marino, in vacanza ai Caraibi mentre la città contempla i funerali hollywoodiani dei Casamonica e non sa ancora se il suo consiglio comunale sarà sciolto per mafia. «Marino? – sorride Gabrielli – Lo sento tra un’immersione e l’altra».
Incapace di piaggerie, Gabrielli non fa del resto neppure mistero né della cultura cattolico-democratica, né della sua antica amicizia con Enrico Letta. Ed è Prodi che, nel dicembre del 2006, a soli 46 anni, lo nomina direttore del Sisde (oggi Aisi). Un’esperienza che dura meno di un anno, perché Gabrielli rovescia l’Agenzia come un guanto. Tocca vecchie consorterie, che tengono insieme pezzi degli apparati e settori della Politica che, con il cambio di stagione, consumano la loro vendetta. Con il Governo Berlusconi, Gabrielli viene “murato vivo”. Prima un periodo da prefetto “a disposizione”, quindi la nomina, nel 2009, nella Prefettura più complicata del Paese. L’Aquila, appena colpita dal terremoto. Dove diventerà vicecommissario all’emergenza. In una sorta di damnatio memoriae che deve tenerlo lontano dagli apparati di sicurezza, il centro-destra berlusconiano lo nomina vice di Guido Bertolaso alla Protezione Civile, nel momento in cui il Dipartimento affonda travolto dall’inchiesta sui Grandi Eventi. Eppure, come in un cartone animato di Willy il Coyote, Gabrielli sopravvive. Anche quando Mario Monti gli affida la croce di sostituire Bertolaso e di rimettere in sesto un Dipartimento che, con la riforma, oltre ai poteri perde anche la cassa. Gabrielli impara a fare le nozze con i fichi secchi e quando, con il governo Letta, sembra arrivato la fine dell’esilio, Letta, proprio in ragione di un’amicizia che potrebbe lasciar pensare a un conflitto di interesse, lo lascia lì dove è. Direttore della Protezione civile. Viene a capo del raddrizzamento della Concordia e del trasferimento del relitto dall’isola del Giglio a Genova. Convincendo il governo Renzi che se è sopravvissuto a quello, può ben diventare Prefetto di Roma nel momento peggiore. Sono i mesi in cui qualcuno maligna che “l’uomo si è montato la testa”. Che pensa al “salto in politica”. Lui, il “predestinato” ha in testa solo la Polizia. Ieri ci è tornato. Da Capo. Come nella profezia di Manganelli.