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 2016  maggio 01 Domenica calendario

Sei Paesi chiedono all’Ue altri sei mesi di controlli ai loro confini • Raimondo Caputo nega di aver ucciso la piccola Fortuna Loffredo • Tre morti sul lavoro al giorno • Il falò delle zanne per salvare gli elefanti • Italiani che cambiano regione


Confini Ieri, si è saputo che sei Paesi — Germania, Francia, Austria, Belgio, Svezia e Danimarca — chiederanno alla Commissione Ue di prolungare di sei mesi, a partire da metà maggio, i controlli alle loro frontiere. Si tratta di confini interni all’area Schengen e come tali andrebbero tenuti sempre aperti, salvo momenti eccezionali. E questo è un momento eccezionale, sostiene il sestetto. Avanzeranno la richiesta a Bruxelles, che dovrebbe esprimersi al riguardo — con un sì — forse mercoledì. Il ministro degli Interni tedesco Thomas de Maiziere — che venerdì aveva già appoggiato l’intenzione del governo austriaco nella contesa con l’Italia sulla costruzione di una barriera anti immigrati al Brennero — ha detto che «anche se la situazione si è alleggerita ai confini interni lungo la rotta Ovest dei Balcani, guardiamo con preoccupazione agli sviluppi ai confini esterni dell’Unione». In sostanza, alla Libia e alla rotta attraverso l’Italia. Giovedì, a Roma, il presidente della Commissione europea Juncker discuterà del Brennero con Renzi: una portavoce di Bruxelles ha detto che sarà valutata ogni misura presa da Vienna «secondo i criteri di necessità e proporzionalità». In ogni caso, la barriera non dovrebbe essere un blocco ma un’operazione di controllo (D. Ta.., Cds).

Chicca 1 Raimondo Caputo, l’uomo accusato di aver ucciso (e violentato) Fortuna Loffredo detta Chicca, la bimba di sei anni morta nel giugno del 2014 precipitando da un palazzo del Parco Verde di Caivano (vedi Fior da Fiore di ieri), ha affrontato l’interrogatorio di garanzia con il giudice delle indagini preliminari Alessandro Buccino Grimaldi respingendo ogni responsabilità. Quando venerdì gli è stata notificata in carcere (era già agli arresti con l’accusa di aver abusato sessualmente delle figlie minorenni della sua convivente) l’ordinanza di custodia cautelare, gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno visto vacillare, magari qualcuno ha anche pensato che stesse per crollare. Invece ha negato tutto: «Non sono stato io. Sono un buon padre e non ero nemmeno lì quando è caduta». Non ci sarebbero tracce di Dna a inchiodare l’uomo, come si apprende da fonti investigative. Anche se in un’intercettazione allegata all’ordinanza di custodia cautelare a carico di Caputo, quest’ultimo, mostrandosi preoccupato e riferendosi a Fortuna, dice: «Vuoi vede che là sopra c’è il sudore mio». Difficile la sua difesa. Perchè le intercettazioni, gli elementi raccolti in due anni di indagine e, soprattutto, i racconti di tre bambine, anche loro i vittime di abusi sessuali, rendono complicato credergli. Le parole di una di loro sono senza appello. Interrogata alla presenza di una psicologa ha ricordato quel giorno, ha detto senza esitazione di avere visto Raimondo Caputo violentare sul terrazzo dell’ottavo piano la sua amichetta Fortuna. La piccola scalciava e allora lui l’ha afferrata ed è andato in direzione del cancello oltre al quale c’è la balaustra da cui la piccola è precipitata. Il pubblico ministero chiede: «Pensi che l’ha buttata giù perchè poi hai sentito o visto qualcosa?». «Perchè ho sentito le urla», risponde Dora. (F. B., Cds; m. cor., Sta).

Chicca 2 L’indagine intanto si allarga ad altre due donne, entrambe di Parco Verde, una delle quali avrebbe nascosto una scarpa della bambina. I depistaggi sulla morte di Fortuna sono iniziati subito dopo la sua morte. Nel corso di una conversazione intercettata dagli investigatori, la nonna dell’amichetta di Fortuna rivolgendosi alla nipotina dice: «Io non so niente, così devi dire... non imbrogliarti con la bocca». E ancora: «Quando è morto mio nipote (Antonio Giglio, morto nel 2013 nello stesso modo di Fortuna) non ho accusato nessuno, ho detto che nessuno stava a casa mia» (m. cor., Sta).

Morti bianche Il 2015 è stato un anno nero per i morti sul lavoro, sono aumentati del 16%. Il 2016, invece, è iniziato con un dato più confortante, un calo del 14%,6% nei primi tre mesi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sono i dati più recenti elaborati dall’Inail da cui risulta una generale tendenza positiva: nei cinque anni tra il 2010 e il 2014 c’è stata una riduzione delle denunce del 23,9%, quasi una su 4 in meno. E nel solo 2015 le denunce d’infortunio sul lavoro arrivate all’Inail sono state 632.655, il 3,9% in meno rispetto al 2014. Ad essere aumentati sono soltanto i casi più gravi, 1172 morti nel 2015, 163 in più rispetto al 2014, un dato che interrompe l’andamento positivo degli anni tra il 2010 e il 2014 quando si era avuta una flessione del 24,21%. L’Inail precisa, comunque, che i dati del 2015 si riferiscono a istruttorie ancora in corso, dunque ancora non è chiaro quanti procedimenti effettivamente sono legati a cause di lavoro. Per il 2016 l’Inail registra un calo dello 0.8% del totale delle denunce di infortunio, sono state 152.573, compresi i casi mortali. Nei primi tre mesi le denunce di morti sul lavoro sono state 176, il 14,6% in meno rispetto ai primi tre mesi del 2015. Anche in questo caso l’Inail precisa che si tratta di dati provvisori, diffusi in occasione della Festa del Lavoro del Primo Maggio (Amabile, Sta).

Elefanti «L’ unico avorio buono è quello attaccato a un elefante vivo», ha proclamato il presidente kenyano Uhuru Kenyatta. «A ogni bracconiere, a ogni compratore, a ogni venditore: avete i giorni contati», ha detto Ali Bongo, presidente del Gabon che possiede la metà degli elefanti di tutta l’Africa. Insieme, poi, han preso una torcia e in un parco di Nairobi hanno incendiato undici pire: 105 tonnellate d’avorio, 16mila zanne, 150 milioni di dollari. Il più grande falò d’avorio che la storia ricordi per combattere la vanità di possedere un fosfato che ogni quarto d’ora uccide un elefante e invece, restasse attaccato all’animale vivo, «renderebbe cento volte di più in guadagni per il nostro turismo». Nel 2030, avanti così, non ci sarà più avorio. D’elefanti ne restano 350 mila, ed erano tre volte tanti solamente negli anni 70. Di rinoceronti, ce n’è meno di 30 mila: e della specie bianca, in Kenya, ne sopravvivono solo tre. Colpa della Cina che alimenta il traffico clandestino, mille euro al chilo, nonostante i divieti internazionali del 1989. Colpa del mercato americano. Colpa di Botswana, Namibia, Sudafrica, Zimbabwe che han rimesso in circolazione i loro stock. Colpa della caccia ai Big Five (elefante-rinoceronte-leopardo-leone-bufalo), il safari illegale che ancora attrae tanti Hemingway dilettanti. Colpa dei gruppi armati che col bracconaggio incassano 50 mila euro a corno. Per fermare la strage, servirà un divieto totale del commercio globale che sconfigga mille resistenze. Il Kenya lo proporrà a fine anno al prossimo Cites, la conferenza mondiale sul commercio delle specie in pericolo (Battistini, Cds).

Regioni Secondo i dati Istat la Campania è la regione che, fra il 2004 e il 2014, ha esportato più residenti verso le altre regioni d’Italia, 433.986 persone, mentre la Lombardia è quella che ne ha importati di più nello stesso arco di tempo, con 506.766. Ma in termini relativi, ovvero rapportando arrivi e partenze alla popolazione regionale, i risultati raccontano una storia diversa: in testa a entrambe le classifiche svetta la piccola Valle d’Aosta — regione di frontiera dalla mobilità elevata, trainata dal turismo e dall’ambiente — che negli ultimi dieci anni ha visto partire il 9,94% della propria popolazione attuale e ha guadagnato il 10,05%. Alle sue spalle spiccano — con percentuali altissime su popolazioni molto più consistenti — la Calabria fra le partenze (il 9,05% in dieci anni) e l’Emilia-Romagna fra gli arrivi (il 7,7%). Per avere un’idea più chiara delle nuove destinazioni, tuttavia, bisogna guardare il saldo migratorio: in fondo alla classifica, con saldo negativo, siedono tutte le regioni del Sud, in particolare la Campania (-3,65% della popolazione in dieci anni) e la Calabria (-3,57% fra il 2004 e il 2014). In testa c’è proprio l’Emilia-Romagna, affiancata dalla Provincia autonoma di Trento: la prima ha guadagnato il 2,7% della popolazione in dieci anni, la seconda il 2,26%. Un altro aspetto interessante riguarda il Veneto, da cui nessuno se ne vuole andare: appena il 3,3% della popolazione (Marinelli, Cds).

(a cura di Roberta Mercuri)