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 2016  aprile 30 Sabato calendario

Il terzo De Sica, Andrea

Che cosa avrebbe chiesto a suo nonno, quale consiglio? Andrea ci pensa un po’ su, strozza dentro di sé due parole, «bella domanda». Suo nonno era Vittorio De Sica. Lui, Andrea De Sica, è figlio di Manuel (fratello maggiore di Christian), il musicista scomparso nel dicembre di due anni fa, e della produttrice Tilde Corsi. Ha appena finito di girare a Dobbiaco, in Alto Adige, il suo primo film, intitolato I figli della notte.
Che storia è?
«È la storia di un ragazzo di 16 anni (Vincenzo Crea) che sopravvive alla solitudine e alla disciplina di un collegio per rampolli dell’alta società grazie a un amico (Ludovico Succio) che si trova con lui. È una generazione che al cinema non esiste, quella dei giovani abbienti. La ricchezza non è solo un lusso. C’è un senso di isolamento, di claustrofobia. E c’è il sentimento dell’abbandono simboleggiato dal collegio, circondato dalle montagne».
Non è così scontato ambientare il primo film in un collegio...
«Vi sono stati tanti miei amici. Ha un sapore di ritorno al passato, vero? È un mondo che non si conosce, meraviglioso e terribile, ti può portare a comportamenti violenti. Oggi i collegi sono cambiati, non trovi più le camerate. Ma sono delle gabbie dorate dove i ragazzi vivono per decisioni altrui».
Qual è il suo percorso professionale?
«Vengo da cortometraggi e documentari. Mi è capitato di intervistare ragazzi che hanno frequentato collegi, alcune tipologie le ho messe nel film. C’è chi ha commesso un errore di gioventù (il mio protagonista chiama la scuola col cellulare della madre per annunciare che c’è una bomba), chi fugge, e i figli dei criminali che vengono tenuti lontani da casa per metterli al sicuro. Una storia molto maschile, interrotta dalla ragazza bielorussa (Yuliia Sobol) di cui il personaggio di Ludovico si innamora. In un quadro realistico, le donne rappresentano l’elemento visionario, la situazione liberatoria».
Modelli?
«Sono un cinefilo e ho dovuto cercare di allontanarmene. Ma ci sono tante cose nel film. Sciuscià l’ho rivisto tre volte prima di cominciare, poi ho pensato a un altro film di mio nonno, I bambini ci guardano, la cui ultima scena si svolge in un collegio. Infine I figli della violenza che Buñuel girò in una periferia del Messico. E I 400 colpi di Truffaut: è buffo, l’episodio del ragazzo che dice all’insegnante di stare male per non essere interrogato, inventandosi che la madre è morta, l’ho fatto al liceo senza sapere di Truffaut».
Che tipo di musica ha scelto?
«Questa cosa mi ha mandato in una crisi totale per tanti motivi. Le musiche avrebbe dovuto comporle mio padre, un uomo libero, fuori dagli schemi. Ho un sintetizzatore. Ma forse sceglierò musica sacra e Mahler, che soggiornò nell’albergo in cui giriamo».
Il suo cognome le pesa o è bello portarlo?
«Entrambe le cose. Ho avuto la possibilità di averlo visto questo mondo, e di entrarvi. È una responsabilità altissima, spero di reggerla fino alla fine. Mio zio Christian mi ha detto che è una storia curiosa. Mio nonno, che non ho potuto conoscere, amava il gioco d’azzardo. In fin dei conti fare un film è un azzardo, non sai come va a finire, ci vuole coraggio, ti metti alla prova completamente. E per un film come il mio, in un collegio, devi essere credibile».
Christian De Sica dice che in Usa ci sono le dinastie, in Italia invece la gente dice: ‘sti rompiscatole.
«Più che la dinastia ho avvertito essere figlio di una produttrice importante. Mi sarei dispiaciuto se mi avessero detto che tanto c’è mia madre alle spalle. Invece ho avuto la fortuna di trovare fiducia in Marta Donzelli e Gregorio Paonessa, e in Rai Cinema».
Debutta non da giovanissimo.
«Ho 34 anni, ci ho messo un po’ perché ho voluto fare molta gavetta. Ho cominciato recitando, poi i corti, i documentari, una serie tv per bambini. Ho fatto Filosofia e il Centro Sperimentale di Cinematografia. Come regista sono “bipolare”, sono gentile e mi arrabbio. Non ho ansie da prestazione, mi sentivo in ritardo, a un certo punto ho voluto accelerare i tempi».
Non ha risposto su cosa avrebbe chiesto a suo nonno...
«È un film drammatico che vuole intrattenere, mi ricorda I Goonies ma in una versione più cupa. Tutta questa macchina spettacolare devo ricondurla a una verità, a un’emozione. Gli avrei chiesto un consiglio su questo».