Corriere della Sera, 30 aprile 2016
Schwazer non ha diritto a una seconda occasione?
Nella bollente estate 1982 l’Italia esultò per ciascuno dei sei gol con cui Paolo Rossi, uscito con il morale rasoterra ma palla al piede dal primo Calcioscommesse, si laureò capocannoniere di un Mondiale dipinto d’azzurro, che ancora oggi è una delle poesie più commoventi della nostra Spoon River di ricordi sportivi. Era stato fuori due anni, Pablito, e in Spagna si riprendeva la vita con gli interessi. Nel 2010, con il tascapane zavorrato dai postumi dell’Operacion Puerto e dalla sospensione per aver confessato pratiche dopanti, Ivan Basso conquistava lo Zoncolan e il secondo Giro d’Italia, il primo della nuova esistenza. Applausi, sul traguardo di Verona.
Se c’è una seconda occasione per tutti, se la memoria è un sofisticato congegno a tempo più propenso a blindare in cassaforte lingotti piuttosto che carta straccia, Alex Schwazer ha il diritto di tornare a marciare domenica 8 maggio a Roma: l’operazione ha lo scopo, calcolato al millesimo, di meritarsi Rio e lascia sul terreno una vittima collaterale, l’ex fidanzata Carolina Kostner. E Niccolò Mornati, il canottiere dal cognome ingombrante (il fratello Carlo è vicesegretario generale del Coni), potrà risalire sul «due senza» alla fine dell’iter che gli si è spalancato sotto la chiglia ieri, con l’annuncio della positività all’anastrozolo.
Nell’atletica italiana ridotta a una guerra tra bande, il doping di Schwazer è diventato l’unico peccato mortale che non merita il diritto all’oblio. Mai si è notata tanta indignazione per il ritorno in strada dei marciatori russi, prima che l’antidoping facesse un salto di qualità, come la sospensione della Grande Madre dai Giochi di Rio e il caso Sharapova dimostrano. L’antidoping italiana funziona, e non guarda in faccia nessuno. Non farà sconti nemmeno a Schwazer, se il reprobo (oggi super controllato) dovesse inciampare ancora. Ma è ora che parli la strada, con la sua legge d’asfalto.