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 2016  aprile 30 Sabato calendario

La storia dei bambini Fortuna Loffredo e Antonio Giglio, violentati e poi buttati giù da un piano alto del palazzo numero 3 del Parco Verde a Caivano, ci suscita orrore, ci sgomenta lo spettacolo della ferocia umana, ci mette infine anche nella tentazione della solita domanda sociologica troppo facile, cioè che rapporto vi sia tra periferia degradata e casi come questi, quante siano le Caivano d’Italia, se si sappia davvero quello che succede in questi luoghi forse infernali, e comunque che la stampa descrive come infernali

La storia dei bambini Fortuna Loffredo e Antonio Giglio, violentati e poi buttati giù da un piano alto del palazzo numero 3 del Parco Verde a Caivano, ci suscita orrore, ci sgomenta lo spettacolo della ferocia umana, ci mette infine anche nella tentazione della solita domanda sociologica troppo facile, cioè che rapporto vi sia tra periferia degradata e casi come questi, quante siano le Caivano d’Italia, se si sappia davvero quello che succede in questi luoghi forse infernali, e comunque che la stampa descrive come infernali...

Zerocalcare abita in una periferia degradata romana, dichiara di trovarcisi benissimo, ha coniato lo slogan: «Non c’è niente di interessante, è perfetta».
Sono esercizi intellettuali. Un uomo colto può provar gusto a vivere ovunque. Niente di meglio che una periferia di quel tipo per star soli e non vedere gli orrori (che esistono) dei quartieri bene. Ma la gente qualunque? La gente normale? Un cronista di prima classe, cioè Fulvio Bufi del Corriere, ha descritto così Caivano e il quartiere cosiddetto ParcoVerde: «Parco Verde dovrebbe indicare un posto ridente e pieno di alberi e giardini. Non è vero. Il parco Verde di Caivano non è un parco e non è verde. È cemento tirato su in fretta per creare alloggi destinati ai terremotati napoletani del 1980, e al massimo è grigio, quando non è nero. Qualche aiuola ci sta ma è piena di siringhe. Da tre o quattro mesi una associazione di volontari ha messo una decina di contenitori sperando che chi si buca dopo butti lì dentro quello che ha usato, ma non lo fa nessuno. La droga qui è storia antica. Cocaina, eroina, fumo. Quando girava il cobret si trovava pure quello, qualunque porcheria entri sul mercato arriva alle piazze di spaccio del Parco Verde. Carabinieri e polizia conoscono queste strade da quando sono state costruite: ci saranno venuti migliaia di volte, e sempre per questioni di droga, camorra, agguati. Poi si è scoperto che c’era di peggio». Il peggio sarebbe l’isolato numero 3, cioè un palazzo di otto piani poggiato su colonne di cemento armato. Quello dove abitava il pedofilo che, secondo l’accusa, ha buttato di sotto, ammazzandoli, prima il bambino Antonio Giglio, di tre anni, e poi la bambina Fortuna Loffredo, di sei.  

Raccontiamo, senza esagerazioni, questo orrore.
È purtroppo drammaticamente semplice. Raimondo Caputo vive in questo isolato numero 3 con Marianna Fabbozzi, che ha 26 anni e, se non abbiamo contato male, quattro figli. Gli inquirenti raccontano poco, ma sembrano convinti che Caputo abbia volentato tutti i figli della convivente, la quale, quando i bambini piangevano, faceva spalluce e diceva: «Poi ti passa». Uno di questi figli è l’Antonio Giglio di tre anni, che deve aver fatto qualche resistenza perché Caputo, nel 2013, l’ha buttato di sotto. Sembrava un incidente, ma l’autopsia mostrò le lesioni inequivocabili della violenza carnale. Nessuno dei vicini però ha testimonato e questa omertà ha impedito all’indagine - condotta dai magistrati di Napoli - di arrivare a qualche risultato. Poi, un anno dopo, è volata di sotto la piccola Fortuna Loffredo. Sua madre, Domenica (Mimma) Guardato, era amica della Fabbozzi. Nuove indagini, stavolta dei magistrati di Caivano, e nuovi buchi nell’acqua. Senonché i tre figli della Fabbozzi, adesso allontanati da casa, hanno raccontato quello che c’era da raccontare. Così Caputo è in galera, suppongo in isolamento, perché i carcerati quelli come lui li fanno a pezzi senza aspettare la sentenza.  

Si diceva del problema: è colpa delle periferie degradate?
Per quanto riguarda la pedofilia, no. Gente che va in Thailandia apposta e che è in grado di pagare bene per togliersi certe soddisfazioni sta più nei ceti alti che nei ceti bassi. Però la miseria induce ai commerci più abominevoli, e il pedofilo sfrutta la miseria di chi gli vende i suoi figli. È tipica invece della periferia degradata la diffidenza verso lo Stato, che ti spinge a non collaborare anche in assenza di minacce. Una scarpina di Antonio Giglio era stata nascosta dall’inquilina dell’ottavo piano senza che nessuno glielo avesse chiesto. Qui lo Stato è nemico.  

Perché?
Le periferie di cui stiamo parlando - Caivano in Campania, ma anche le Vele di Scampia, lo Zen di Palermo, il Mirafiori di Torino, il Corviale di Roma, il Giambellino di Milano - sono orrende, ed è difficile non considerare nemico chi ti fa vivere in posti simili.  

Perché lo Stato non fa qualcosa?
Dal 1970 a oggi sono stati varati almeno dieci piani che proponevano il recupero del degrado urbano. Ci sono state scaricate addosso le solite siglie incomprensibili, i Pru, i Prusst, gli Urban europei, ed è successo poco o niente. Oggi il governo sembra disposto a mettere sul tavolo una cifra oscillante tra i 500 milioni e i due miliardi. Chi sa. I piani precedenti non hanno portato in genere a niente per l’enorme lunghezza delle procedure burocratiche e per la nebulosità degli obiettivi, fonte inevitabile di conflitti tra le parti in causa. Lo Stato in generale parla poco e male con tutti i cittadini. Figuriamoci con i disgraziati delle periferie.