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 2016  aprile 29 Venerdì calendario

Sulla demitizzazione di Montanelli

Su Italia Oggi del 12 aprile è uscito un articolo di Serena Gana Cavallo, da tempo dedita alla “demitizzazione” di Indro Montanelli, un impegno che certamente le propizierà qualche successo dato lo spessore del personaggio preso di mira [Leggi qui l’articolo di Gana Cavallo]. Due giorni dopo, sulla medesima testata, un articolo di Tino Oldani – una sorta di recensione della recensione (un genere nuovo che mancava nel giornalismo italiano) – definiva il pezzo della collega “un raro esempio di competenza storica e di indipendenza di giudizio”. Poiché in entrambi gl’interventi l’acredine contro il più popolare giornalista italiano del ‘900 sprizza da tutti i pori, proponiamo alcuni documenti che contribuiscono a far luce sulle accuse dei due.
L’imparziale Cavallo ci ricorda che Montanelli rimase sostanzialmente fascista ben più a lungo di quanto egli affermava, cioè ben dopo il 1937, quando – secondo il racconto di Indro – era stato espulso dal Partito per aver pubblicato sul Messaggero il famoso articolo sulla battaglia di Santander. L’autrice cita un documento riportato da Gerbi e Liucci (Lo Stregone) che dovrebbe sbugiardare Montanelli: una nota dell’Ovra del 1940 nella quale egli risulta “iscritto al PnF dal 21.4.1932”. Ma il documento riporta solo la data di iscrizione e non dice affatto che Montanelli nel 1940 era ancora iscritto al Partito, anzi si conclude con una nota che l’autrice si guarda bene dal citare in quanto qualifica “...il Montanelli come individuo francofilo e ostile all’amicizia italo-germanica, pronto alla facile critica e come uno dei tanti ‘intellettuali’ di avanguardia che – coscienti o no, in buona o malafede – si impancano a critici del Regime e finiscono per fare dell’antifascismo spesso accanito e pericoloso”. E dimentica che Gerbi e Liucci, nella cronologia in appendice al loro volume, alla data 1937, scrivono che dopo la pubblicazione dell’articolo sulla battaglia di Santander a Montanelli erano state ritirate sia la tessera di iscrizione all’Albo dei Giornalisti (poi restituita), sia quella del Partito Fascista da lui “mai più richiesta”. E del resto potremmo chiederci perché, se continuava a essere ancora fedele al regime, Montanelli, fin dall’autunno 1937, fosse stato costretto ad abbandonare il giornalismo in Italia e andare a “purgarsi” in Estonia fino all’estate 1938.
Ma sui tempi del suo abbandono del fascismo meriterebbe rileggere per intero la lettera da lui scritta nel 1944 nel carcere di San Vittore e che l’amico Gaetano Greco Naccarato fu incaricato di consegnare a Piero Parini, allora prefetto di Milano, per difendersi dall’accusa di “tradimento”, che minacciava di condurlo davanti al plotone di esecuzione. Rivolgendosi dal carcere a un esponente del regime, il prigioniero avrebbe avuto tutto l’interesse a sfumare il proprio antifascismo, invece apertamente rivendicato dopo un percorso iniziato nel 1938.
Indro vi afferma il diritto di non essere considerato un ‘traditore’, poiché fin dal 1938 aveva rinunziato alla tessera e al giuramento di fascista aggiungendo inoltre che nel 1940 da “non fascista” era diventato “categoricamente antifascista”. Pertanto come poteva essere considerato traditore di un partito al quale aveva cessato di aderire da oltre sei anni? Tanto più si sentiva antifascista e antitedesco ora che, mentre era in prigione, gli veniva ripetuto che la sua fucilazione era inevitabile.
E un documento importante non solo perché delinea il percorso di Montanelli dall’abbandono del Partito fino alla scelta antifascista, ma anche perché attesta la sua convinzione che una condanna a morte fosse stata emessa (particolare invece negato dai suoi detrattori). E del resto quando si dice che Indro per “salvarsi la pelle” si accordò con il “noto doppiogiochista” Luca Osteria per riuscire a e vadere, si ammette di fatto che la pelle era a rischio.
E così siamo giunti al capitolo della discussa evasione. Gana Cavallo e il suo apostolo Oldani ci presentano come una sensazionale novità il fatto che Montanelli era riuscito a lasciare il carcere grazie agli accordi con Luca Osteria (il così detto “dottor Ugo”) e con il capo della Gestapo di Milano, il tedesco Theodor Saevecke. La signora e il suo seguace, nella smania di smascherare il “bugiardo” Montanelli, ignorano o preferiscono tacere una sua intervista del 2000 in appendice alla nuova edizione de II Generale della Rovere: “Scappai grazie a un ordine di trasferimento al carcere di Verona: un ordine fasullo, architettato dal famoso ‘dottor Ugo’, che si chiamava in realtà Luca Ostéria, un uomo che aveva protetto Parri, che aveva protetto Sognoeche protesse anche me. Lui organizzò tutto. Ma, qualche anno dopo, ho saputo che il comandante delle SS, Sarwecke, era d’accordo con Ostéria nel farmi evadere”. Dunque, molto rumore per nulla.
Quanto al fatto, evidentemente ritenuto riprovevole, che Indro si fosse fatto aiutare nell’evasione da Luca Osteria, “...il più abile doppiogiochista della Repubblica Sociale”, bisognerebbe ricordare che il Dottor Ugo era in effetti talmente abile da riuscire a guadagnarsi nel dopoguerra anche la fiducia di Ferruccio Parri, che gli affidò importanti incarichi da capo del governo. Invece Indro non avrebbe dovuto fidarsi restando in prigione per farsi fucilare e così compiacere i suoi critici.
Montanelli ha sempre detto di non gradire i monumenti, perché diventano quasi sempre bersaglio dello sterco di diverse specie di volatili. Anche in questo caso, è stato buon profeta.
Una versione più ampia di questo testo, con altri dettagli e documenti, è sul sito della Fondazione Montanelli Bassi ( hyperlink http://www.fondazionemontanelli.it www.fondazionemontanelli.it, Sezione “Dicono di lui”).