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 2016  aprile 29 Venerdì calendario

Perché staremmo meglio se mangiassimo come i Maya e avremmo meno carie se cucinassimo come gli antichi romani

La cucina dei Maya e degli Aztechi era più salutare di quella veneta di inizio ’900. Perché, a differenza di quanto avvenne nel nostro nordest, dove la polenta era l’alimento base delle famiglie contadine, in centro America non vi furono mai problemi di pellagra. Il motivo? «I contadini veneti – dice a Libero la professoressa Laura De Gara, presidente del corso di laurea magistrale in Scienze degli Alimenti e della Nutrizione all’università Campus Bio-Medico di Roma, – avevano una modalità di preparare la polenta che portava a un forte impoverimento dell’alimento, privato di alcune proprietà nutritive fondamentali. Mentre i Maya, ma anche gli Aztechi, prima di impastare le tortillas lasciavano per una notte intera i chicchi di mais in acqua di calce. Questo consentiva un maggior rilascio di aminoacidi, che sopperivano alle carenze vitaminiche tipiche della “malattia dei contadini”. È uno degli esempi più significativi di come nel corso della storia il cibo e il suo utilizzo abbiano subito profonde modifiche, talvolta dannose per la salute: i Conquistadores scoprirono il mais ma ne ignorarono l’uso che ne facevano le popolazioni locali, e questo, in generale, fu un errore molto diffuso dell’uomo».
Dal mais al miele, il dolcificante più usato al mondo fino a inizio ’800. «Sembra impossibile – aggiunge De Gara, – ma gli antichi Romani potevano avere meno carie rispetto a noi: come dolcificante usavano il miele, e il palatinosio non viene degradato dal cavo orale, per cui non determina la formazione di carie dato che i batteri non hanno substrato e non si possono alimentare».
Torniamo in America, per capire il percorso che ha portato sulle nostre tavole il pomodoro. «È stato un arrivo molto tardivo – precisa la professoressa -. Nel Napoletano cominciò a comparire in qualche ricetta del ’700, ma è solo del 1837 la prima che unisce la salsa alla pasta. In Europa le prime piante di pomodoro arrivarono nel ’500, dal Cile, dal Perù e dall’Ecuador. All’arrivo degli spagnoli le popolazioni indigene avevano già ottenuto varietà commestibili i cui frutti venivano utilizzati come alimento, cotti o crudi». Ma in Europa, per due secoli il pomodoro fu considerato insalubre: veniva usato come pianta ornamentale. «Dai medici fu etichettato a lungo come pericoloso per la salute – spiega la professoressa -. Soffriva del pregiudizio di appartenere alla famiglia delle solanacee, di cui fanno parte molte piante famose per la presenza di alcaloidi psicoattivi come lo stramonio, la belladonna, il giusquiamo, la mandragora, spesso ricorrenti nei verbali dei processi di stregoneria. Il pomodoro acquisì pure la fama di frutto afrodisiaco. Nel Nord Europa, dove la coltivazione era più difficile, fu chiamato “Pomi d’amore”: le piante venivano donate alle donne come forma di corteggiamento».
Dal passato al futuro, a un altro alimento base della nostra dieta: la patata. «L’Intergovernmental Panel on Climate Change, nelle simulazioni sui cambiamenti climatici, ha previsto che nell’arco della durata di una vita umana i livelli di anidride carbonica nell’aria potrebbero duplicarsi e che a quelle concentrazioni di anidride carbonica i livelli di amido sintetizzati dalle piante potrebbero aumentare in modo significativo, per esempio i tuberi delle future patate potrebbero contenere il 5-6% di amido in più. È come se per ogni porzione di frutta e verdura assumessimo un cucchiaino di zucchero extra. Le patate – conclude la professoressa De Gara – conterranno meno proteine e meno micronutrienti, come ferro, fosforo, magnesio, con conseguenze non indifferenti sul valore nutrizionale».