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 2016  aprile 28 Giovedì calendario

Alonso non si pente di nulla, a parte una piccola cosa... Intervista

È sempre nella tempesta. Da un lato Jackie Stewart lo considera il miglior pilota in attività, dall’altro Johnny Herbert sostiene che non abbia più nulla da dire e da dare. E quando gli capita un incidente – cosa tutt’altro che rara quando si gareggia per arrivare davanti agli altri – ecco che si vanno a cercare cause remotissime, nascoste magari nel botto misterioso che ebbe a Barcellona prima dell’avvio della stagione scorsa: «Fu un malore, si è ripetuto a Melbourne», ha detto maliziosamente qualcuno nelle scorse settimane. Fernando Alonso da sempre divide, è un personaggio scomodo. Ma, al di là di tutto, non ci sono prove che sia finito come campione né sia preda di mali oscuri. Il problema è che ha personalità e ragiona, motivo per cui lo si definisce «politico» in senso negativo. Questo dà fastidio a un ambiente omologato in cui le invidie sono sotterranee. Alonso si aggrappa alla filosofia e a un fideismo ascetico nella lunga traversata del deserto con la flebile Honda che spinge la McLaren. In attesa di tornare a giocare le sue carte e a divertirsi. «I progressi della Honda nell’ultimo anno e mezzo sono stati eccezionali. La Honda vive l’orgoglio di un progetto interamente realizzato da ingegneri giapponesi, ma se tu migliori del 60% e gli altri del 40, sei ancora indietro. Ma sono sicuro che arriveremo. Guardate i nostri tempi sul giro: sono molto migliori di quelli degli altri, confrontando la stessa esperienza coi motori turbo».
Intanto è già avvenuto un miracolo: i suoi rapporti con Ron Dennis sembrano idilliaci…
Risata: «Sono cambiate tante cose, siamo più calmi e analizziamo le cose con più intelligenza. Il suo ruolo in McLaren è diverso ma Dennis è un combattente e ha una disperata fretta di vincere quanto me. È l’uomo giusto per portare McLaren e Honda al top, dedica ogni secondo solo a questo. Non si fermerà sinché non ci sarà riuscito. Sarò felice di segnare insieme a lui».
Però pesa la vita senza vittorie, per uno competitivo come lei…
«Ovvio. Io preparo ogni gara come se dovessi vincerla, sforzandomi di credere che sia possibile. Ma dentro il paddock e fuori, dopo i miei anni in Ferrari, noto che godo di maggiore rispetto. E questo mi dà molta soddisfazione».
Appunto, ma sono trascorsi 10 anni dal suo ultimo Mondiale…
«Ormai tra i media prevale la logica calcistica per cui sei un campione solo se conquisti un titolo. Ma Gilles Villeneuve è ricordato come uno dei più grandi della storia Ferrari senza aver mai conquistato un Mondiale. Mi piacerebbe avere più trofei, ma non cambierei un solo giorno della mia carriera. Sono estremamente felice così».
Magari qualche errore politico lo ha commesso durante il percorso, non crede?
«No. Ho sempre fatto quello che reputavo giusto in quel momento. Con altre decisioni non sarei stato la stessa persona. Ho guidato per Renault, McLaren-Mercedes, Ferrari, McLaren-Honda: quanti altri metterebbero la firma per una carriera così? Certo, avrei potuto firmare per Red Bull quando la Red Bull era principalmente una bibita. Nessuno ha la sfera di cristallo. Da quando l’ho lasciata, la Renault non ha più vinto. Ho lasciato la McLaren e dopo il successo di Hamilton l’anno dopo, nessuno ha più vinto. E la Ferrari non ha portato ancora a casa nessun titolo».
Vuol dire che la Ferrari attuale non è più forte di quella che lasciò lei alla fine del 2014?
«Nel 2014 non avevamo una macchina per puntare costantemente al podio come oggi, lottando da vicino con la Mercedes. In 5 anni di Ferrari, per tre volte sono arrivato a giocarmi il titolo all’ultima gara e da questo lato non vedo nessun miglioramento. Ora la Ferrari è rivale della Mercedes per il titolo, è fantastico. Ai miei tempi non siamo mai stati rivali concreti di chi era davanti, però ci siamo ritrovati ugualmente vicini».
Dica la verità, ragionando a distanza di tempo non è stato un errore lasciare la Ferrari?
«Nello sport ci sono i cicli e oggi per vincere devi essere su una Mercedes. In Ferrari ho vissuto momenti fantastici, con amici e atmosfera. Era un mio sogno guidare una Ferrari e mi sono divertito. Poi è arrivato il momento di chiudere, senza rinnegare uno solo di quei giorni. Avevo altri due anni di accordo, ma ho chiesto al presidente (Montezemolo, n.d.r.) di interrompere il contratto perché non mi divertivo più ad arrivare secondo. Lo scorso anno loro (la Ferrari) hanno concluso terzi. E adesso sono terzi…».
Il suo sembra il discorso di un innamorato che lascia la fidanzata quando ancora la ama…
«La Ferrari è speciale e sarà sempre nel mio cuore. Ho le sue macchine nel mio museo e in garage. Ma stare in Ferrari senza vincere è stressante perché c’è un sacco di pressione. Dopo 5 anni, con la prospettiva di 7 stagioni senza un titolo, era una cosa che non mi rendeva felice».
Vettel, oggi, ha più possibilità di quelle che ha avuto lei?
«È in una buona posizione, è più giovane, è motivato e la macchina attuale è vicina come prestazioni alla Mercedes. È positivo. Il trend è che oggi solo Mercedes, Ferrari, Renault o Honda possano vincere dei mondiali, in quanto i team privati sono tagliati fuori».
Quando gli si chiede come ipotizzi il suo futuro dopo la F.1, Alonso chiarisce che si vede «fuori dall’ambiente». Vive di contrasti. Da un lato è felice del passato e ha ragione. Dall’altro attende con impazienza la competitività della McLaren-Honda, perché l’orgoglio lo rode dentro. Smettere? Solo se l’attesa dovesse protrarsi oltre misura. Ma starebbe male. Forse ha davvero in mente l’avventura a Le Mans o a Indianapolis. Sono tanti i pensieri che gli attraversano la mente e il mantra che sia contento così non convince. Prigioniero delle sue scelte e del tempo che scorre, Alonso chiede al destino solo una macchina competitiva. Ha un paio di groppi alla gola che intende sciogliere, conti da regolare. Dopo di che tutte le opzioni saranno aperte.