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 2016  aprile 28 Giovedì calendario

Un libro spiega come le Coop speculano su di noi

«A metà degli anni Ottanta io già portavo le mazzette. Ma non è colpa nostra se piove merda e ti lascia un cattivo sapore in bocca… Con Tangentopoli a Milano, avevo sui 40 anni, eravamo preoccupati. Ma sapevamo che il nostro sistema avrebbe retto… I dirigenti di Legacoop erano ancora tutti di nomina politica e gli appalti si procuravano con il finanziamento del Pci. Pagavamo le spese per la festa dell’Unità, per la propaganda elettorale, assumevamo gente e magari dopo dichiaravamo fallimento. Mi ricordo di alcune Coop agricole o di quelle edili tipo Edilter... Si facevano fallire ma un attimo prima si svuotavano le casse. I soldi andavano a finanziare la “ditta”... In quegli anni si diceva che a Bologna non ci sarebbe mai stata un’inchiesta come quella di Milano. In effetti è vero! Quando non c’è concorrenza non c’è bisogno di tangenti. Chi corrompo? Il sindaco e l’amministratore che sono parte della mia famiglia?». Sono passati 30 anni, ma la denuncia di un ex dipendente e dirigente coop descrive un mondo che nei suoi intrecci perversi non è cambiato, anzi è peggiorato.
Basta leggere le quasi 300 pagine di Coop Connection, il libro inchiesta (Chiare Lettere, 16,90 euro) di Antonio Amorosi per rendersene conto. Dall’Expo al Mose, da Mafia capitale alla Tav non si contano i casi di inquinamento, Cpl Concordia tra i più eclatanti, con la criminalità organizzata. Perché il sistema si basa ancora sulla commistione tra partito (Pd), impresa (coop), Stato (posti nei consigli comunali, regionali e nelle partecipate) e magistratura, ma con la crisi ha trovato nuovi sbocchi.
«Quello che non si è mai capito – spiega ancora l’ex dirigente della Gdo e delle assicurazioni – è come sono cambiate le cose oggi. Prima i partiti erano dentro le imprese, loro nominavano i capi delle coop. Ma dopo la caduta dei regimi comunisti i miei diretti superiori sono diventati intoccabili. Oggi siamo noi delle coop che meniamo le danze e decidiamo chi fa carriera nel partito. Diamo un tozzo di pane a chi si candida, sono un po’ di disperati, gli bastano quattro briciole. Però siamo noi che muoviamo le pedine... Ho scelto tanti anni fa la coop perché permette di fare tutto quello che vuoi, essendo un santo agli occhi degli altri».
TASSE LEGGERE
Del resto, le condizioni di favore non sono cambiate. Le cooperative sono un impero economico (fatturano 151 miliardi, l’8% del Pil del Paese) che agisce fuori dalla regole della concorrenza. La legge prevede che paghino le tasse su una percentuale ridotta dei ricavi (il 65% per le Coop di consumo, il 40% per quelle di lavoro, il 20% per quelle agricole e zero per le Coop sociali). Motivo? «La Repubblica – articolo 45 della Costituzione – riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». Non si capisce però cosa c’entri la funzione sociale e la mutualità con gli utili che vengono reinvestiti in settori nevralgici come l’immobiliare e la vendita di farmaci o in aziende controllate come i punti fai da te “Brico”, nelle tv (come Telereggio), nel gruppo Eataly e in Unipol. Anche perché nella maggior parte dei casi la verifica sul carattere mutualistico (che dà diritto all’agevolazione) non è assegnata a un ente terzo, ma alle case madri, Legacoop, Confocooperative, Agci ecc, che vengono finanziate con una quota associativa dalle stesse coop.
SCHIAVI DELLE COOP
Per capire a pieno il paradosso, però, bisogna esplorare il mondo delle cooperative di intermediazione di manodopera, quelle che vincono appalti nell’alberghiero, pulizie, sanità, scarico frutta ecc. Funziona così: i soci della cooperativa entrano nell’azienda appaltatrice e si sostituiscono ai dipendenti originari eseguendo il lavoro in condizioni d’inferno. Angelo – che inventaria merce a 3 euro l’ora in celle frigorifere – ogni sera riceve un sms da una coop milanese che gli dice che domani dovrà essere a Pordenone, poi a Udine, quindi a Sondrio. Zero pause, niente pranzo e niente cena. Malattie o ferie pagate neanche a parlarne. Alla fine porta a casa 800-1.000 euro al mese se tutto va bene. E non è affatto un caso isolato. Perché se vai di notte all’Ortomercato di Milano puoi vedere spuntare dal nulla gruppi di tunisini o egiziani assoldati dalle cooperative e che lavorano in nero alle stesse condizioni di Angelo.
Ma com’è possibile tutto ciò? Controlli a parte bisognerebbe chiederlo a Renzi e Poletti. L’articolo 81 del Jobs Act ha abrogato il reato di somministrazione fraudolenta di manodopera. Fino ad allora gli imprenditori che praticavano questa forma di schiavismo rischiavano una reclusione da 8 a 20 anni. Oggi nulla più.
RISPARMIO TRADITO
Ma il vero piano delle coop lo rivela Giovanni Consorte, il manager della scalata fallita di Unipol a Bnl: «Avevamo un grande disegno, unire il partito, grande distribuzione, assicurazione e una banca». Settori che non possono fallire e garantiscono denaro sicuro senza fare quasi nulla. Il piano è fallito ma la legge che vieta raccolta del risparmio a soggetti diversi dalle banche prevede un’eccezione: le coop. Possono raccogliere finanziamenti tra i soci. Si chiamano prestiti sociali e solo nelle cooperative di consumo aderenti a Legacoop hanno portato 10,8 miliardi di euro.
Come si fa? Entri al super o in qualsiasi altra coop prendi la tessera socio e aderisci al prestito. Nessun controllo o tracciabilità. Lo pubblicizzano come a bassissimo rischio, ma in realtà in caso di insolvenza il socio perde tutto. Del resto Bankitalia vieta alle coop di raccogliere denaro a vista, ma molte lo mettono nero su bianco nello statuto: «Raccogliamo il denaro a vista». Lo fa la Coop Operaie di Trieste dalla quale sono spariti 103 milioni di euro di 117 mila risparmiatori. Il fatto è che se una coop fallisce il socio che le presta il denaro finisce in fondo alla classifica dei creditori da soddisfare.
SOLDI AI PARTITI
Che le coop finanzino le campagne elettorali soprattutto di Pci, Ds e Pd è messo nero su bianco. Il problema sono le cifre. Dal 2000 al 2015 dichiarano alla Camera 3 milioni e 200 mila euro, ma la legge italiana non consente una reale tracciabilità. E alcune verità emergono solo dalle inchieste. Ufficialmente, per esempio, Cpl Concordia (che ha finanziato anche Bersani, Zingaretti e Renzi) avrebbe donato appena 100 mila euro in 15 anni, ma nel marzo del 2015 gli inquirenti parlano di 330 mila euro per una singola tangente. Mentre nel libro nero del solito Buzzi si parla di diverse mazzette che oscillano dai 2.000 ai 2.500 euro. Discorso a parte merita la fondazione di D’Alema, Italianieuropei, che vanta come primi soci la Legacoop con 103 mila euro e la cooperativa Estense di Ferrara con 100 mila. Del resto, come rileva Francesco Simone in un’intercettazione che riguarda sempre Cpl Concordia «è molto più utile investire negli Italianieuropei... D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi, ci ha dato delle cose». «Il politico – evidenzia il dirigente che apre il libro-inchiesta di Amorosi – “beve” dalla sua fondazione. Io che ricevo i soldi per realizzare un’opera gonfio il preventivo più che posso, visto che mi pagherai a “babbo morto”. Lavoro con i soldi delle banche che, sposto a te che sposti a un altro che sposta a un altro che neanche sa come mi chiamo. È tutto irrintracciabile. Il magistrato cosa può fare?».
IL RUOLO DELLE TOGHE
Enrico Di Nicola è l’ex procuratore capo di Bologna (in pensione dal 2008) e si è sempre vantato dell’«armonia» del lavoro della magistratura con le istituzioni locali. E la separazione dei poteri? «Non bisogna avere una concezione ottocentesca della separazione – rispondeva – noi dobbiamo dare risposte concrete ai cittadini, altrimenti Berlusconi avrà il 70% e la magistratura il 10%». Forse per questo motivo Di Nicola (uno dei fondatori di Movimento per la giustizia, la corrente a sinistra di Md) ha proceduto a una serie di archiviazione a raffica (sanità, consulenze in Regione ecc.) tanto che la sua procura si è guadagnata il nomignolo di «porto delle nebbie». E forse per lo stesso motivo che da 70 anni le inchieste sulle coop si contano sulle dita di una mano e se vengono aperte quasi mai partono dall’Emilia. Tanto che un’ispezione ministeriale ha scoperto che dal 1999 al 2008, 2.321 fascicoli della Procura di Bologna sono stati dimenticati in un armadio.
NUOVI BUSINESS
Con la grande crisi economica poi le coop si sono evolute alla ricerca di nuovi business, trasformando in ricchezza ogni tipo di debolezza sociale: dalla sanità fino alla lotta alla mafia e all’accoglienza. Nella sanità l’obiettivo è sostituire i medici di famiglia con quelli delle cooperative. Al medico conviene (meno tasse), alle coop pure (parliamo di fatturati da 10 miliardi), ai malati un po’ meno (perdono il rapporto personale con il medico di base). Ma cosa importa, il sistema si è già messo in moto. Con Unipol, per esempio, che attraverso UniSalute apre centri medici che offrono visite specialistiche ed esami diagnostici. O Mutua Ligure, una società di mutuo soccorso promossa da Legacoop Liguria. E la politica? A livello locale elimina qualsiasi ostacolo burocratico e a livello nazionale strizza l’occhio a chi promette di alleggerire il peso della sanità a carico dello Stato. Poi c’è «Libera», la più grande associazione antimafia del mondo che ha tre partner ufficiali: Unipolis, Unipol ed E-coop, la catena di distribuzione della cooperazione. Il sistema funziona così: lo Stato confisca i beni alla criminalità organizzata, li affida ai Comuni che li assegnano ai privati. E tra questi spesso ci sono proprio le coop legate a Libera. C’è, per esempio, la Coop Placido Rizzotto, presieduta da Gianluca Faraone, fratello di Davide, sottosegretario del Pd. Fulcro delle operazione è l’agenzia bolognese Cooperare con Libera Terra che ha tra i partner diverse coop (tra le altre Cpl Concordia) coinvolte in scandali per corruzione, tangenti e mafia. Ma a Libera va bene così. Come del resto, all’associazione di Don Ciotti va bene avere tra gli sponsor la coop di costruzioni Unieco di Reggio Emilia che fa lavorare società della ’ndrangheta. E trova normale inserire i suoi uomini nelle liste di sinistra per le elezioni del 2013. Alla fine sarà eletto solo il braccio destro di don Ciotti, Davide Mattiello, con il Pd. Ma quello che conta è che il cerchio ancora una volta si chiuda a doppia mandata.
Infine c’è il grande business degli immigrati esploso con le vicende della coop 29 giugno: «Il traffico di droga rende di meno», spiegava il suo fondatore Salvatore Buzzi. E come dargli torto. Lo Stato spende più di un miliardo all’anno per le strutture di accoglienza e 30-35 euro al giorno per immigrato. Un piatto ricco dove mangiano tante coop con i soliti scandali a fare da contorno. Basti pensare all’intervento delle toghe in Calabria per bloccare la coop Sant’Anna dell’assessore Pd Carmelo Rota che ammassava 60 persone in un edificio fatiscente in condizioni igieniche spaventose. Ai 7 centri di accoglienza (coop Engel e In Opera Spa) sequestrati dai Nas nell’avellinese. E in generale a quanto successo al Cara di Mineo (Catania) che aveva Luca Odevaine (l’ex vice capo di Gabinetto di Veltroni, arrestato per Mafia Capitale) come superconsulente. Ci lavorano 250 persone che gestiscono 4 mila immigrati. Solo qui le coop si spartiscono 50 milioni all’anno.