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 2016  aprile 28 Giovedì calendario

Per Grillo i giornalisti sono un po’ assassini e Casaleggio «è morto per i loro articoli». Cronaca di uno show difficile da prendere sul serio

I giornalisti – non tutti ma abbastanza – sono spesso invadenti, ipocriti, cialtroni, lecconi, maligni e irresponsabili. Ma fino a ieri tutto lasciava credere che in definitiva a Beppe Grillo andassero bene così.
«Gossippari e pennivendoli» e tante altre brutte cose ancora, il lungo elenco delle definizioni toglierebbe spazio senza aggiungere nulla alle parole che il Garante del M5S ha pronunciato in ovvia libertà martedì sera al teatro Metropolitan di Catania durante il suo spettacolo di uno sdoppiamento artistico-esistenziale, «Grillo vs Grillo». E cioè che i giornalisti sono anche un po’ assassini.
L’ha detto senza particolare acrimonia mentre passeggiava fra il pubblico ricordando il suo amico Casaleggio. Gli editoriali pubblicati dopo la sua morte erano più che bugiardi, Casaleggio infatti aveva querelato tutti i quotidiani. Ciò che scrivevano, le critiche che gli rivolgevano erano per lui una sofferenza: «È morto per quegli articoli».
Ora, questo è molto difficile, anzi è impossibile dimostrarlo. E per quanto in questi anni le differenze si siano assottigliate, uno spettacolo resta cosa diversa da un comizio, così come ciò che viene detto su di un palco o su un palcoscenico è diverso da un testo scritto. Inoltre Grillo ne dice tante, o troppe che siano. Nella società dell’enfasi e dell’iperbole è certamente avvantaggiato dall’indubbio suo talento, nel senso che ha i tempi, i ritmi, la voce, le espressioni dell’attore e anche con il linguaggio del corpo non teme concorrenza. Ma proprio per questo, alla lunga, deve alzare continuamente il livello delle sue sparate.
Per cui diventa sempre più difficile prenderlo sul serio. Ma nei suoi rapporti con i giornalisti e in generale con l’informazione l’ambiguità si presenta a tal punto macroscopica da costituire, per Grillo, una specie di risorsa narrativa.
Nella platea del Metropolitan, per dire, grazie a un pc portatile ha identificato un cronista, Emauele Lauria, e appena saputo che era di Repubblica, come colpito da una folgore, ha allargato le braccia buttandosi all’indietro sul proscenio, tra le ovvie risate.
Ma la questione trascende le varie testate, per cui l’altra settimana, a Roma, «aaaaargh!» si è messo a gridare gettandosi fuori dalla macchina e guadagnando di corsa l’entrata dell’albergo. Perché Grillo in realtà gioca con i giornalisti: a nascondino, a mosca cieca, ad acchiapparella, a buzzico rampichino, persino; e li disprezza, li deride, li maltratta quando si lamenta che scelgono le foto in cui fa smorfie mostruose oppure quando lo inseguono «fin dentro l’orinatoio per farmi dire qualche sciocchezza», ma al dunque li include sistematicamente nel suo format – cosa che con dei potenziali assassini in genere non si fa.
Una volta, per mostrarsi mascherato da marziano, o forse da insetto, comunque li ha fatti addirittura entrare in casa, a Marina di Bibbona, dopo aver corso con loro sulla spiaggia – indimenticabile show con cui si aprì la legislatura del M5S.
Forse è perché il rifiuto dell’intermediazione dei media è ancora un sogno (e non solo per Grillo). Ma così, nell’attesa che arrivi quel giorno, e invocata la cacciata dei cronisti da Montecitorio, gli rimane pur sempre il problema di conquistarne l’attenzione e dunque si sposta a piedi infilandosi maschere da tigre o da lupo, e indossa pseudo-corone di spine e si mette sacchetti della spesa sulla testa. Non è chiaro se poi si rivede in tv, ma certo da professionista avrà i suoi buoni criteri per valutare l’impatto delle performance.
Fra culto della trasparenza e liturgia del segreto, con l’indispensabile contributo di certi ineffabili staff della Comunicazione che a un certo punto avevano inaugurato una sorta di premio alla rovescia indicando ogni giorno un giornalista da indicare al ludibrio della rete, Grillo e il MoVimento hanno finito per stabilire con i giornali e i giornalisti un rapporto che è insieme di avversione e di comparaggio.
Dopo tutto, e mutatis mutandis, un rapporto non così diverso da quello instaurato a suo tempo da De Mita, Craxi e D’Alema che talmente vivevano di giornali e giornalisti da querelare, rispettivamente, Montanelli, il Corriere della Sera e Forattini – senza che i verdetti, a differenza delle denunce, abbiano fatto storia.
Anche Bossi, per la verità, ha offerto copiosa materia all’argomento, prima e dopo di sfogarsi a gestacci e versacci; mentre lo stesso Berlusconi sospirava benevolo: «Ah, se continuate, mi farete morire...». Anche o magari proprio perché fa notizia, la morte è infatti un tema piuttosto sensibile. Dopo resta pochissimo, forse nulla.