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 2016  aprile 28 Giovedì calendario

Ritratto di Stefano Graziano, dall’Udc di Follini al Pd di Renzi

Da due giorni, con i pochi che gli sono rimasti accanto, Stefano Graziano non fa che ripetere che lui con la storiaccia brutta della «Gomorra» dem in Campania, proprio non c’entra nulla. «Mi hanno descritto come un malfattore – si è sfogato con gli amici l’ex presidente regionale del Pd —. Ma io dei lavori a palazzo Teti non so niente, sono completamente estraneo a questa vicenda ed è davvero ingiusto quel che mi sta succedendo». La lettura dei giornali lo ha sconvolto, almeno quanto la repentina presa di distanza dei vertici del Pd. E, se a caldo aveva pensato di metterci la faccia per tentare di smontare le accuse, col passar delle ore il consigliere regionale da 14.810 preferenze si è chiuso a riccio. C’è da scegliere l’avvocato, costruire la linea difensiva e, prima di tutto, tranquillizzare la moglie, che da pochi mesi ha dato alla luce una bambina.
I colleghi del Pd, che ancora martedì mattina ne parlavano come di «un bravo ragazzo», lo raccontano come «metodico e paziente». Uno che «lavora sodo» ed è «molto capace come organizzatore», ma non certo un timoniere da acque tempestose. Sui divanetti di Montecitorio era di casa, anche dopo la sconfitta alle parlamentarie del 2013 e la fine del suo onorevole mandato: una botta da cui si riprese grazie a Enrico Letta, che lo chiamò a Palazzo Chigi come consulente per l’attuazione del programma. Si dice che tra lui e il premier ci fosse «un buon feeling», il che non ha impedito a Graziano di restare al suo posto anche durante il mandato di Renzi, dunque fino al dicembre del 2014. È vero, come hanno spiegato fonti della presidenza del Consiglio, che l’attuale capo del governo non gli rinnovò il contratto, ma è vero anche che Graziano era di casa ai piani alti del Pd. Le foto del suo profilo Twitter lo ritraggono con Boschi, Guerini, De Luca, Migliore e anche con Renzi. Sui suoi rapporti con il leader del Pd gira un aneddoto che risale agli albori di Graziano in politica. Sul finire degli anni ’90 Lapo Pistelli lo spedisce a Firenze con il mandato di convincere i giovani popolari a incoronare Renzi segretario. La missione si rivela un po’ più difficile del previsto, ma anche grazie al paziente lavorio di Graziano, Matteo ce la fa.
Il suo ultimo «padre» politico è stato comunque Marco Follini, al seguito del quale nel 2008 Graziano lasciò l’Udc per entrare nel Pd, dopo aver attraversato, mutando elegantemente casacca, le giovanili della Dc, il Ppi di Martinazzoli, Rinnovamento di Lamberto Dini, Democrazia europea di Sergio D’Antoni... Fino all’approdo nel 2006 nell’Italia di Mezzo di Follini. Il quale, due anni dopo, lo fa entrare in Parlamento con le liste bloccate.
Del suo passaggio a Galleria Colonna per seguire i decreti attuativi ereditati dal governo Monti, non si trovano grandi tracce nelle cronache parlamentari: se non per una sciarpa in cachemire trafugatagli nelle stanze del governo, del valore che i giornali stimarono in 500 euro.
«Graziano chi?», si saranno chiesti gli italiani vedendo spuntare nei notiziari la chioma da biondino ormai brizzolato e la faccia da bonaccione. Ma nel Pd l’ex presidente del partito campano ha amici un po’ in tutte le correnti. L’incarico di garanzia gli arrivò grazie alla minoranza e alla stima di Gianni Cuperlo ma, negli anni, ha costruito legami trasversali con diversi parlamentari, da Verini a Ranucci.
Adesso però il sospetto di favori alla camorra, che lo ha strappato al quasi-anonimato, pesa come una pietra e per trovare qualcuno che lo difenda bisogna varcare i confini del Pd. «Stefano Graziano? Lo conosco – risponde al quotidiano Il Dubbio l’ex ministro Clemente Mastella —. Non mi pare proprio sia un camorrista».