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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

Elogio dei due SuperMario, che non alzano quasi mai la voce

Questa è la storia di due «SuperMario» ma nessuno dei due è un supereroe. Anzi, sono entrambi signori tranquilli, qualcuno forse direbbe pure un poco noiosi.
Mario Draghi e Mario Monti: entrambi, in tempi diversi e loro malgrado, hanno ereditato il soprannome del protagonista del videogioco della Nintendo. Il primo l’ho sentito, come tutti i mercati, giovedì scorso, e il secondo l’ho incontrato un paio di giorni prima a Milano.
Non usano il punto esclamativo spesso e non alzano la voce quasi mai – un’oasi di pacatezza nel panorama eccitato ed eccitabile della politica e finanza mondiale. Basta sentire le dichiarazioni dure di Jens Weidmann ieri per vedere il rovescio della medaglia. Il capo della Bundesbank, e membro importante della Banca Centrale Europea, si è scagliato contro la proposta del governo Renzi sull’assicurazione paneuropea dei depositi bancari. Si è detto completamente contrario all’idea di condividere i rischi del sistema finanziario e ha detto che è «assurda» l’idea di considerare il debito di stato privo di rischio, una delle domande-chiave del governo italiano.
Tutte posizioni ben note e anche comprensibili della Germania, che non vuole che i suoi cittadini paghino per errori altrui. Ma il tono e il luogo – Weidmann si trovava a Roma per parlare di «Solidità e Solidarietà nell’ Unione Monetaria» – non aiutano a creare uno spirito di cooperazione in un momento difficile per il progetto europeo.
È proprio per questo che vale la pena ascoltare gli ammonimenti di Monti e Draghi.
I messaggi dei due SuperMario erano diversi e non certo coordinati ma il risultato è lo stesso: fate attenzione. Attenzione alle sorti economiche e politiche dell’Europa, al clima becero che si respira a Francoforte, a Bruxelles e a Londra, come anche a Varsavia, Vienna e Berlino, e al futuro di un progetto di integrazione che ha tenuto a bada le brame militaristiche delle nazioni del continente.
La performance di Draghi è stata ammirabile. Il capo della Banca Centrale Europea ha passato una settimana a sentire accuse di ogni sorta alla Bce e a lui personalmente da parte di politici tedeschi, culminate nell’esternazione straordinaria di Wolfgang Schaeuble. Il potentissimo ministro delle Finanze tedesco ha accusato Draghi e le politiche di stimolo della Banca centrale di aver aiutato i partiti di estrema destra in Germania.
La risposta di Draghi nella conferenza stampa dopo il consiglio della Bce? «Abbiamo il mandato di preservare la stabilità dei prezzi per l’intera zona-euro, non solo la Germania», ha detto, visibilmente irritato. «Obbediamo alle leggi e non ai politici perché siamo indipendenti».
Parole tranquille ma profonde e pesanti, che hanno ricordato a Schaueble e agli altri strumentalizzatori che l’indipendenza della Bce non solo è sacrosanta ma è esattamente quello che i tedeschi vollero quando fu creata a immagine della Bundesbank. In questo, Weidmann lo ha spalleggiato, conscio del fatto che la politica monetaria e la politica dei politici debbano restare separate.
Questione chiusa, almeno per un po’. Quello che rimane è un’economia della zona-euro che non cresce e una crisi profonda delle istituzioni europee. Che era quello di cui voleva parlare Mario Monti quando l’ho intervistato per Politico. Conosco Monti dal 2001, quando era Commissario alla concorrenza a Bruxelles, e non l’ho mai visto così preoccupato.
«L’Ue sta attraversando una crisi così profonda che per la prima volta io ed altri temiamo la disintegrazione dell’Europa», mi ha detto l’ex primo ministro. E anche fatto nomi. Secondo lui, la responsabilità principale per i gravi problemi del momento è dei governi nazionali e di una politica «corrotta» che spesso sfora nel populismo e nel nazionalismo.
Non tutti saranno d’accordo. C’è chi pensa, per esempio, che i governi dei Paesi membri abbiamo il diritto e il dovere di tenere a freno i poteri di burocrazie non elette, quali la Commissione, e di organi con poca legittimità quali il Parlamento Europeo.
Ma bisogna riflettere sulle parole di Monti per capire se stiamo entrando in una nuova fase del progetto europeo, non più nel segno dell’integrazione ma della tensione o, peggio, della dis-integrazione, dove la cooperazione è sostituita da diatribe tra Nord e Sud e tra Est e Ovest, e il clima di rispetto e fiducia tra governi e istituzioni è rimpiazzato da liti perenni.
I pessimisti, come Monti, pensano che questa trasformazione e il concomitante deterioramento del dibattito politico in molti Paesi possa addirittura far implodere l’Unione. Altri la vedono come una chance per restaurare il pericolante «edificio europeo» prima che crolli completamente.
È questa, per esempio, la visione di molti britannici, almeno quelli che voteranno per rimanere nell’Ue al referendum del 23 giugno. Per loro, la presenza del Regno Unito nell’Ue è una garanzia che l’Europa non andrà alla deriva delle politiche dirigiste di forzata coesione sociale tanto amate da francesi e tedeschi. «Dobbiamo rimanere in Europa per perorare la causa del capitalismo, del mercato unico e del business», mi ha detto uno dei luminari della City, che perderebbe miliardi e miliardi di sterline se ci fosse una «Brexit».
Non è necessario essere d’accordo né con Draghi né con Monti per apprezzare le loro parole e prendere sul serio i loro ammonimenti, soprattutto dopo l’esternazione di Weidmann ieri. Forse è un po’ questo il potere speciale dei due eredi di SuperMario.