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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

La Spagna tornerà al voto il 26 giugno

Il primo a non credere a un miracolo in “zona Cesarini” era stato proprio il re. Ai leader politici che sfilavano, uno dopo l’altro, negli austeri saloni della Zarzuela, Felipe VI ha chiesto che, se si deve tornare alle urne, la campagna elettorale sia questa volta il più possibile “austera”. Per non gravare in modo eccessivo sul bilancio dello Stato e non “stancare” oltre il dovuto i cittadini, già sconcertati dallo spettacolo senza precedenti di una legislatura effimera( si era votato il 20 dicembre). E, ieri a tarda sera, il sovrano ha dovuto ammettere che il tempo è ormai scaduto. Al presidente delle Cortes Patxi López ha fatto sapere che non c’è un candidato all’investitura come premier. A meno di colpi di scena delle prossime ore – il limite ultimo sono le 16 di oggi – dovrà rispettare la procedura prevista dalla legge: decreto di scioglimento delle Camere entro la mezzanotte del 2 maggio, convocazione delle legislative anticipate per il 26 giugno. All’ultimo minuto, dopo mesi di negoziati sterili tra le forze politiche, c’è stato giusto il tempo per le proposte estemporanee, tramontate nello spazio di pochi minuti. Prima ci ha provato Compromís, il partito regionale della sinistra di Valencia, con l’idea di un accordo in 30 punti capace di mettere finalmente insieme Psoe e Podemos con le altre forze del cosiddetto “cambiamento”. Un progetto talmente generico da poter essere sottoscritto da un ampio spettro di formazioni. Ma, forse per questo, anche poco convincente. I socialisti hanno replicato a stretto giro di posta accettando 27 punti su 30. Ma hanno anche rilanciato: del governo, guidato da Pedro Sánchez, farebbero parte solo ministri del Psoe e personalità indipendenti di diverso orientamento politico. Un modo per non scontentare l’alleato di centro Ciudadanos (i socialisti non vogliono sconfessare l’accordo raggiunto nelle scorse settimane con Rivera, contrario all’ingresso nell’esecutivo di esponenti di Podemos) e cercare al tempo stesso un sì in extremis di Pablo Iglesias.
Sforzi del tutto inutili. Il primo a spegnere qualsiasi speranza è stato Albert Rivera: «Ho visto tre pagine (il riferimento è all’accordo proposto da Compromís, ndr) per governare per quattro anni fra sei partiti. Con questo è detto tutto». L’ultima doccia gelata è venuta per bocca di Iglesias, al solito protagonista nelle sue udienze a palazzo. È arrivato in ritardo alla Zarzuela («ci siamo persi», si è scusato), e si è presentato trafelato davanti al sovrano in jeans d’ordinanza ma, questa volta, con un maglioncino grigio a girocollo sulla camicia azzurra, non più con le maniche rimboccate sino al gomito. «Sono contento di vederti», ha detto a Felipe VI, in barba a qualsiasi norma protocollare. All’uscita, in conferenza stampa, ha espresso la consueta “delusione” per quella che ritiene l’assenza di volontà dei socialisti di arrivare a un accordo. Come sempre, però, «mano tesa». Il governo è possibile «se Sánchez rettifica». Ma al termine dell’udienza con il monarca, il leader del Psoe ammette: «Siamo condannati alla ripetizione delle elezioni. I colpevoli? Iglesias e il premier uscente Rajoy». La campagna elettorale è già cominciata.