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 2016  aprile 27 Mercoledì calendario

Gole profonde, corvi, spie, talpe, soffiatori nel fischietto, eroi o infami. Storie di dipendenti che hanno denunciato scandali e fannulloni

«Non è una punizione, è una riorganizzazione aziendale», gli hanno detto. Ma Andrea Franzoso non se l’è bevuta. Nel febbraio 2015 aveva denunciato le spese pazze dei manager di Ferrovie Nord Milano, riscontrate e diventate oggetto di un’indagine della magistratura. Otto mesi dopo, nonostante i vecchi dirigenti siano stati rimossi, la sua azienda gli ha spiegato che doveva lasciare l’ufficio della vigilanza interna e accomodarsi non si sa bene dove. «Adesso sono nella sezione “normativa e lavoro”, un ruolo da impiegato nonostante io sia un quadro. Non faccio praticamente niente, gli ho fatto causa per discriminazione», racconta. Franzoso è un whistleblower nel Paese che non tutela i whistleblower.
I dipendenti che scoprono un illecito e hanno il coraggio di denunciarlo vengono chiamati in tutti i modi: gole profonde, corvi, spie, talpe, anche “soffiatori nel fischietto” (la traduzione del termine inglese). C’è chi li definisce eroi, e chi infami. A Bologna, per dire, l’ex rappresentante sindacale Ciro Rinaldi dal 2009 subisce costantemente angherie e minacce perché ha avuto il coraggio di sollevare il caso dei fannulloni nell’Ispettorato territoriale dell’Emilia Romagna che durante l’orario di lavoro andavano in palestra e a fare shopping. Pure il processo che si è appena aperto in Lussemburgo contro le talpe dello scandalo LuxLeaks dimostra, una volta di più, che la materia è scivolosa.
Di sicuro i whistleblower sono uno degli strumenti più efficaci per stroncare la corruzione. Negli Stati Uniti hanno un programma governativo specifico dal 1986: grazie alle soffiate hanno recuperato in trent’anni 60 miliardi di dollari dalle aziende truffatrici. E l’80 per cento delle inchieste per frode fiscale e corruzione parte perché un dipendente “soffia nel fischietto”. Lo stesso accade in Gran Bretagna, dove garantiscono l’anonimato ed è previsto un premio come incentivo. Normative simili, anche se meno articolate, sono in vigore in Francia e Germania. Ma in Italia no, ancora manca una normativa solida e chiara che protegga le gole profonde dalle ritorsioni dei datori di lavoro.
Siamo fermi alla legge Severino del 2012, che ha introdotto l’obbligo per i dipendenti pubblici di denunciare gli illeciti al “responsabile prevenzione corruzione”, oppure all’Anac (che dal 2015 ha una modulistica ad hoc, con cui ha raccolto 158 segnalazioni) o alla Corte dei Conti. Non sono accettati gli anonimi, né sono stati emanati decreti attuativi con tutele specifiche per i lavoratori. «Infatti i risultati sono stati scarsissimi», sostiene Francesca Businarolo, la deputata grillina che ha proposto una legge sul whistleblowing sostenuta da Pd, Ncd e Area Popolare.
A gennaio è stata approvata in prima battuta alla Camera, e ora galleggia in commissione al Senato. Estende i doveri della Severino alle aziende private e alle municipalizzate. Non solo. Il dipendente che denuncia non può essere sanzionato, demansionato, licenziato o trasferito. La sua identità rimane anonima per tutta la durata degli eventuali procedimenti disciplinari e civili e, in quelli penali, fino al termine delle indagini preliminari. Vengono introdotte le segnalazioni anonime, ma solo se circostanziate e inviate in via digitale, con un codice di criptazione, ed ogni tutela cade nel caso di condanna per calunnia o diffamazione del segnalante. Nel testo originario era previsto un premio al dipendente fino al 30 per cento della somma recuperata con la soffiata. Ma durante la discussione alla Camera l’articolo è saltato.