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 2016  marzo 19 Sabato calendario

«Sei italiani su dieci avranno una pensione più bassa di quanto pensano». Intervista a Tito Boeri

ROMA Presidente Boeri, lei insiste sulla necessità di correggere con urgenza la riforma Fornero, per consentire ai lavoratori di andare in pensione qualche anno prima, sia pure con un assegno più basso. Perché?
«Se il governo ha intenzione di introdurre la flessibilità in uscita, vale la pena di farlo adesso – risponde il presidente dell’Inps, Tito Boeri —. Il brusco innalzamento dei requisiti stabilito con la legge Fornero ha bloccato nelle imprese una parte dei lavoratori che altrimenti sarebbero andati in pensione. Questo blocco ha avuto un effetto molto forte sulle assunzioni dei giovani. Lo abbiamo verificato controllando due campioni di imprese, il primo con lavoratori bloccati dalla riforma e il secondo no. Nel primo non c’era spazio per assumere. Si spiega anche così il tasso di disoccupazione giovanile del 40%».
Finora la flessibilità in uscita, promessa l’anno scorso dallo stesso premier Matteo Renzi, non è stata introdotta perché troppo costosa per i conti pubblici.
«Su questo abbiamo un problema con l’Unione europea. All’inizio, pagando più pensioni, aumenterebbe la spesa. Ma poi si recupererebbe perché l’assegno erogato sarebbe più basso. Il primo passo sarebbe quindi quello di farsi certificare dalla Commissione Ue che proposte di questo tipo non avrebbero effetti di lungo periodo sui conti pubblici. Oppure potremmo cominciare noi a farci certificare dall’Ufficio parlamentare di bilancio le proposte neutre sul bilancio a lungo termine per poi portarle in Europa».
Quando ha parlato l’ultima volta con Renzi di questo e quale è stata la reazione?
«L’ultima volta, pochi giorni fa. Credo che ci sia interesse, anche se c’è preoccupazione per i conti pubblici».
Realisticamente, di quanti anni si potrebbe anticipare il pensionamento?
«Secondo la nostra proposta fino a tre anni. Chiaramente con delle riduzioni dell’importo della pensione, commisurate al fatto che l’assegno lo si prenderà per più tempo».
Riduzioni di quanto?
«Intorno al 3% per ogni anno di anticipo, quindi al massimo circa il 9% in meno, se uno va in pensione tre anni prima delle regole vigenti».
Presidente, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che abbiamo intervistato giovedì, parlando di lei ha detto: Boeri pensi a gestire l’Inps e non faccia politica.
«Il ministro ha detto: lui fa le proposte, il governo decide. Mi ci ritrovo perfettamente. Di fatto, sto dicendo che il governo deve decidere. La cosa che mi lascia più a disagio è quando il governo non decide, lasciandoci in un limbo. Poi Poletti ha anche detto che l’Inps può fare proposte e questo è già un passo in avanti rispetto a chi dice che neppure questo possiamo fare».
Come definirebbe i suoi rapporti col governo?
«Proficui, utili. Ma la cosa che mi piace di più è il rapporto con le altre amministrazioni. Persone come Raffaele Cantone (autorità anticorruzione), Rossella Orlandi (Agenzia entrate), Antonio Samaritani (Agenzia digitale), Ernesto Ruffini (Equitalia), sono tutte di grande valore, con cui si lavora bene».
Lei ha annunciato l’invio di 7 milioni di «buste arancioni» ad altrettanti lavoratori con dentro la simulazione della pensione. Quanti scopriranno che è più bassa di quello che si aspettavano?
«In effetti molte persone avranno sorprese negative. In base ai nostri campioni, circa il 60%. Ma penso che avere questa informazione sia molto importante, perché consente di pianificare il futuro».
Non teme che le brutte sorprese inducano a consumare meno, con effetti negativi sull’economia?
«Non credo che gli effetti siano così negativi. Ciò che deprime i consumi è l’incertezza. Invece noi qui stiamo dando più informazioni».
Su un altro fronte, quello del lavoro, dopo che gli sgravi sulle assunzioni sono stati tagliati, a gennaio c’è stata una frenata dei contratti a tempo indeterminato.
«È presto per trarre conclusioni. Nel 2015 ci sono stati quasi un milione di contratti a tempo indeterminato in più. Un fatto importantissimo. Non solo gli sgravi, ma anche il contratto a tutele crescenti ha avuto un ruolo».
Che ne pensa di rendere permanente lo sgravio?
«È una scelta onerosa, ogni punto in meno di contributi costa 3,5 miliardi, che se non fiscalizzati, farebbero scendere anche la pensione».