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 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Andrea Zorzi s’è dato al teatro

I fulmini di Zeus sono pronti a colpire tutti coloro che a Olimpia arrivano secondi. «Nei Giochi Olimpici dell’antica Grecia la corona era solo per il vincitore, di chi arrivava secondo nessuno si interessava. Altro che l’ideale di Pierre De Coubertin: l’importante è partecipare... Per 1200 anni l’importante era solo vincere. Essere i campioni». Finisce più o meno così l’«Avventuroso viaggio a Olimpia», andato in scena sulle assi vissute del teatro Rifredi di Firenze. Prima teatrale del nuovo lavoro che vede Andrea Zorzi nei panni di Zorkos, un po’ atleta e un po’ viaggiatore, un po’ narratore attraverso una delle più affascinanti storie e leggende dell’umanità.
«Fra il 776 avanti Cristo e il 393 dopo Cristo le sacre pietre di Olimpia, nel cuore della Grecia, sono state teatro di un’avventura esaltante – racconta Andrea Zorzi, due volte campione del mondo con la Nazionale di Velasco a metà degli Anni 90 -. Di cui tutti sappiamo qualcosa, ma magari in maniera poco approfondita». Dopo aver portato in scena se stesso con «La leggenda del pallavolista volante», l’ex Zorro cercava un’altra sfida più teatrale, ma ugualmente sportiva. Da un sodalizio collaudato con l’autore e regista Nicola Zavagli e con l’attrice Beatrice Visibelli, nell’anno che porta a Rio va in scena questo affasciante viaggio nel tempo. Un po’ storia, un po’ leggenda, molto sport, anche una certa dose di autoironia quando Zorkos-Zorzi diventa Milone di Crotone (uno che ha vinto 7 Olimpiadi nella lotta) con un marcato accento veneto («cosa che mi riesce molto bene», ride). O come quando Baetrice-Narratrice-Attrice provoca Zorzi sulla mancata vittoria olimpica (quella moderna).
Con un ritmo incalzante il viaggio è supportato dalle evoluzioni di due (bravissimi) ballerini dell’Accademia Kataklò di Giulia Staccioli (che ha curato la coreografia, oltre che essere ex ginnasta e moglie di Andrea, che – guarda caso – aveva conosciuto a un’edizione dei Giochi Olimpici Moderni, a Seul nel 1988...). «Non è un teatro danza, ma Sara Palumbo e Matteo Battista (i due ballerini appunto, ndr) sono allo stesso tempo protagonisti e scenografia in un esperimento che mi sembra abbastanza innovativo», racconta ancora Zorzi al termine della prima. «Dietro questo lavoro ci sono 6 mesi di studi e di ricerche. Abbiamo raccolto tantissimo materiale e poi abbiamo iniziato a spulciarlo. Selezionandolo. Poi, come già nel caso del “Pallavolista volante”, è subentrata l’elaborazione di Nicola che ha fornito il prodotto finale. Anche se in questo caso la modalità di lavoro è stata un po’ cambiata dall’inserimento nella squadra teatrale di Giulia e delle sua coreografie».
Vincente la scenografia minimalista, essenziale, ma anche molto «greca» dove gli atleti spesso si esibivano nudi. Da Crotone ad Atene, da Atene a Sparta (l’unica città-stato dove le donne potevano praticare sport) fino alla mitica Olimpia, dove tutto è cominciato in un turbine di reminiscenze classiche, filosofi-atleti, aneddoti e divinità assortite. In cui Beozia-Beatrice diventa l’architrave della narrazione, con un’importante presenza scenica. I quattro protagonisti non escono mai dalla scena, si alternano nei ruoli e sotto le luci: come in un libro di storia parlante irretiscono lo spettatore con suggestioni e spunti. Dal celebre discobolo, a Zeus, dal pancrazio alle libagioni notturne, dal doping al sesso, un’immersione avvolgente nei secoli. «Più difficile l’atleta o l’attore? Certamente il “mestiere” di pallavolista. In questi mesi abbiamo parlato spesso delle differenze. Nello sport, io a un certo punto dovevo solo pensare a schiacciare. Quindi nei momenti di difficoltà mi dovevo chiudere in me stesso – racconta ancora Zorzi – e concentrarmi solo sul prossimo attacco, sulla prossima palla. A teatro nei momenti duri, invece, ti devi aprire al mondo esterno, a quello che sta fuori di te. E aspettare. Il gran mago del teatro che non so dove abiti, ma c’è, ti suggerirà la battuta che ti pare non ricordare». Entra in scena anche il vescovo di Milano Ambrogio che poco prima del 393 dopo Cristo, assieme all’imperatore Teodosio, sancisce la fine dei Giochi Olimpici. Sarebbero passati altri secoli prima che – nel 1896 – l’avventura ricominciasse (curiosamente nell’anno di nascita della Gazzetta dello Sport), ancora in Grecia, ad Atene. Il viaggio arriva alla fine e già sta per ripartire: un’altra leggenda, un altro eroe, un’altra medaglia. Ancora storia, quelle che solo lo sport riesce a raccontare. Quelle che fanno cultura: adesso come 3000 anni fa. Il Gazzettiere Zorkos (è una sua definizione) l’aveva già capito...