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 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Tutti pazzi per il cognac. Nel 2015 sono state vendute 170 milioni di bottiglie

Non ci poteva essere compleanno migliore per i due colossi del cognac, Hennessy del gruppo Lvmh di Bernard Arnaud, il re del lusso, e Martell del gruppo Pernod-Ricard, il numero due mondiale dei liquori e dei superalcolici (il primo è Bacardi) con un fatturato di oltre 8 miliardi di euro.
Il primo compie 250 anni, il secondo 300 e come se volesse festeggiarli il mercato mondiale del cognac ha segnato, nel 2015, il record di 170 milioni di bottiglie vendute (nel gergo dei commercianti di vino qui si dice écoulées, scolate, e in effetti, così, fa più impressione) per un giro d’affari di 2,6 miliardi di euro, un livello che non si vedeva dal lontano 2006, prima della «grande crisi» e della grande gelata dei consumi.
«Stiamo vivendo un bel momento e naturalmente speriamo che duri» dice con quel sorriso furbo che hanno sempre i negoçiant di vino, Jean-Bernard de Larquier, presidente del Bnic, il Bureau national interprofessionnel du cognac, equivalente ai nostri consorzi di tutela.
Deve durare, anche se cominciano a far paura il crollo quasi definitivo (è sparito dalle statistiche) del mercato russo e l’assottigliarsi di quello cinese ora che i neo-miliardari di Pechino e Shanghai preferiscono stili di vita più sobri senza far sfoggio di bottiglie di cognac (e di grandi rossi francesi) per evitare di incappare nella rete dei controlli anticorruzione del partito comunista. Di cognac, più precisamente di export di cognac (perché i francesi ne bevono appena 4,2 milioni di bottiglie, al sesto posto nella classifica mondiale del consumo guidata dagli americani che invece si scolano 65 milioni di bottiglie), vivono 4.500 viticoltori dei due dipartimenti della regione della Charente, a sud di Bordeaux, a cui si aggiungono almeno altri 12 mila addetti dell’indotto, dagli imbottigliatori alle 250 maison di negoçiant, i commercianti-industriali che acquistano il prodotto dalle cantine e girano il mondo per venderlo.
Anche se il business del cognac è concentrato in quattro mani: Hennessy, Martell (già ricordati) con Rémy Martin (gruppo Cointreau) e Courvoisier (del gruppo giapponese Suntory proprietario anche di Orangina, l’aranciata più famosa di Francia) fanno l’85% delle vendite, dagli Stati Uniti (primo consumatore con una quota del 43% delle bottiglie e l’84% del fatturato) a Singapore, alla Cina, alla Gran Bretagna.
Oggi sono proprio loro, i colossi del cognac, che spingono per fare di più, allargare la superficie vitata anche se gli 85 mila ettari di «Ugni blanc» (il nostro Trebbiano toscano a bacca bianca) coprono quasi tutta la campagna dello Charente.
«Non vogliono perdere questa ripresa del mercato», dice il presidente del Bnic, il consorzio che raggruppa i produttori della regione, «ma debbono stare attenti anche alle crisi di sovrapproduzione. E poi il cognac non è un prodotto industriale, è un dono della natura, un assemblaggio di sapori e di cultura che si crea dopo quattro anni d’invecchiamento. Non è come l’Armagnac che in due anni è già pronto ad essere bevuto».
«Perché eccedere nell’offerta? Se il mondo vuole il cognac deve imparare ad aspettare e a riconoscerne il valore», dice uno che davvero se ne intende, il maître-assembleur (il responsabile di cantina) di Hennessy, Yann Fillioux, che proprio in questi giorni ha festeggiato l’arrivo del suo successore (Renaud de Gironde) con una collezione di 250 bottiglie (quando si dice: edizione limitata) di Hennessy n.8, prezzo 35mila euro, che è stata venduta in poche ore. Chi apprezza paga. È questo il mondo che piace ai veri produttori di cognac. Meno bottiglie «écoulées» e più fatturato.