Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Italiani, un popolo di creativi (in un paese che non funziona)

I Paesi che più innovano sono anche quelli che più tutelano la proprietà, sia essa fisica o intellettuale. La conoscenza, che è alla base dell’innovazione, è la materia prima della società dell’informazione.
Questa conoscenza va promossa, diffusa, condivisa, ma va soprattutto tutelata quando assume un valore strategico per gli individui, le imprese e le regioni che la producono, cioè quando diventa una risorsa per la competitività. Anche i Paesi che noi consideriamo erroneamente in via di sviluppo lo hanno capito e stanno investendo molte risorse, elaborando dei piani industriali e di sviluppo fondati sulla capacità di generare conoscenze originali, proteggerle e soprattutto selezionarle per trasformarle in innovazione.

La curiosità, la creatività e l’intraprendenza sono le variabili più importanti alla base del processo di innovazione. E noi italiani ci definiamo un popolo di creativi, non sempre a ragione. Tuttavia, la creatività da sola non basta se non è accompagnata da altri strumenti, come per esempio precise politiche industriali. Succede così che non siamo sempre in grado di sfruttare pienamente il nostro potenziale creativo. Brevettiamo molto meno di quanto dovremmo. Le cause sono molteplici. La prima è certamente culturale: siamo mediamente allergici al metodo scientifico e ignoriamo il valore economico della proprietà, a differenza dei nostri pari anglosassoni. La seconda è imputabile al tessuto industriale. Le nostre Pmi sono troppo piccole e non hanno un management sufficientemente educato per riconoscere il valore delle conoscenze prodotte. Infine, il tessuto creativo e quello imprenditoriale non sono mai stati favoriti da un insieme di regole cucite intorno alla libera iniziativa, e quindi alla tutela della proprietà che ne è alla base, così come sono stati poco tutelati dal sistema sanzionatorio.
L’edizione 2015 dell’Indice Internazionale per la Tutela della Proprietà ci posiziona al 51° posto, proprio perché a fronte di una propensione alla creatività siamo penalizzati dall’incertezza del sistema giudiziario (la contraffazione ci costa circa 21 miliardi di giro d’affari con un danno erariale di 11 miliardi, secondo Confesercenti). 
I dati elaborati dall’Epo dimostrano che il Paese si sta muovendo nella giusta direzione. Gli italiani si stanno adattando alle logiche della globalizzazione: stiamo finalmente maturando la consapevolezza che per vincere la competizione dobbiamo innovare, immettendo sul mercato prodotti unici che nessun altro è in grado di imitare o copiare. Il ruolo della politica è così fondamentale sia per coltivare la cultura dell’innovazione sia per alimentare un’ecosistema favorevole all’economia della conoscenza. Per meglio aiutare inventori e innovatori a tutelare la proprietà del loro lavoro intellettuale, i nostri governi più recenti si sono impegnati su fronti molteplici, sull’online per esempio, con regole più adeguate e con azioni per limitare la pirateria e la contraffazione; per attirare gli investimenti invece, introducendo di recente il Patent Box. Sono azioni importanti ma ancora timide e casuali che denotano una presa di consapevolezza ma al contempo anche l’assenza totale di una strategia organica. L’obiettivo dovrebbe essere quello di alimentare la curiosità e la creatività dei cittadini del futuro, a partire dai nostri figli che, come stiamo sperimentando, si trovano ad affrontare un contesto globale molto complesso ma anche ricco di sfide e nuove opportunità.