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 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Buffon e Donnaruma, il maestro e l’allievo. Storie di due fenomeni a confronto

Gigi va all’attacco. E dopo vent’anni di carriera può – anzi deve – permetterselo. Buffon va alla caccia di un record stabilito nel 1994, l’anno prima del suo debutto in serie A. E al quale Super Gigi non si è mai avvicinato. Domenica scorsa contro l’Inter, il ragazzo che ormai da un pezzo ha chiuso la porta ai paragoni col passato ha battuto se stesso, migliorando il proprio primato di imbattibilità, portandolo a 746’. Domenica prossima contro l’Atalanta gli basterà non prendere gol fino al 2’ del secondo tempo per fare un bel salto e passare dal sesto posto nella classifica degli imbattuti di serie A direttamente al podio, dietro a Dino Zoff (903’ nel 1972-1973) e Sebastiano Rossi. Il primato di 929’ del portiere del Milan di Fabio Capello resiste da 22 anni ed è curioso che proprio Capello fosse uno dei pilastri della Juventus a inizio anni 70, capace di tenere il gol lontano dalla propria porta per 903’. 
«Gigi è un portiere straordinario e potrebbe anche battere il mio record – fa notare Zoff, col consueto garbato distacco usato nei confronti di Buffon, con cui si contende il ruolo di miglior portiere italiano della storia – ma il merito è anche della sua squadra. Rispetto alla mia, questa Juve ha qualcosa in più e difatti ha vinto 4 scudetti consecutivi ed è arrivata in finale di Champions. Faccio i complimenti a Buffon e spero che continui per lungo tempo a difendere la porta della Juventus. Donnarumma? Il portiere del Milan ha un futuro assicurato perché esordire in Serie A in un grande club a 16 anni non è da tutti. Bravo Mihajlovic a capire le qualità di questo ragazzo. La scuola italiana è sempre la migliore e Sportiello è un altro numero uno con un grande futuro». 
Buffon e Sportiello si sfidano proprio domenica, ma è chiaro che il primo pensiero del numero 1 azzurro, dopo il mercoledì trascorso in panchina a San Siro con gli occhi sbarrati di fronte alla contro-prestazione della sua Juve (e in parte anche di Neto) sono gli attaccanti. L’ultimo che gli ha segnato in A è stato Cassano, il 10 gennaio in Sampdoria-Juventus (1-2). A fine partita Buffon si avvicinò all’ex compagno di nazionale, fingendo intenzioni bellicose e poi abbracciandolo e scherzando con lui: è l’immagine di un uomo, prima ancora che di un portiere, in totale armonia psico-fisica con se stesso. Già, perché dal 6 gennaio Buffon, fidanzato con Ilaria D’Amico, è diventato padre per la terza volta e questo sembra avergli dato una ulteriore, irresistibile, botta di gioventù: basta vedere una partitella in allenamento di Super Gigi («Ogni volta gli dico che è ancora il n° 1» ha raccontato Pogba) per capire quanto il lavoro settimanale e l’entusiasmo con cui lo affronta siano ancora il segreto, semplice ma così complicato, di una carriera unica. 
Certo, la qualità dei compagni di allenamento aiuta: Buffon è il portiere di serie A che ha fatto fin qui meno parate (45), ma anche alcune del 2016, come quella su Pazzini del Verona o sull’interista Eder domenica, illustrano bene i concetti di qualità e quantità. Perché basta una parata per fare la differenza. Ma il vero valore aggiunto dell’ultimo Buffon è l’assoluta leadership che è capace di esercitare nello spogliatoio. Sono state soprattutto le sue parole in pubblico, dopo la sconfitta col Sassuolo il 28 ottobre («Basta figure da pellegrini») a scuotere l’ambiente juventino. Ma è lontano dalle telecamere che Gigi esercita davvero il suo ruolo, come ha confermato una piccola confessione di Morata, rimasto quasi quattro mesi senza gol: «Chi mi ha detto le parole più importanti durante la mia crisi? Buffon...». 
Un campione a tutto campo quindi e sempre più consapevole di esserlo. Un ex ultrà capace di citare Gobetti prima di una partita di Coppa. E un portiere che da capitano azzurro si toglie lo sfizio di non votare per il pallone d’oro, dal quale è stato escluso. Un attaccante coi guantoni, sempre pronto a stupire. Così è (se vi paro). 
Paolo Tomaselli

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Cancellate la parola incoscienza. Dimenticate il luogo comune del portiere uomo solo. Fenomeni come Gigio Donnarumma naturalmente si nasce (e forse accade una volta ogni vent’anni), ma tantissimo ci si lavora su. Perché il portierino del Milan, che a 17 anni appena compiuti (25 febbraio) con il Sassuolo domenica arriva al suo personale giro di boa – è titolare da un girone intero, avendo debuttato proprio contro gli uomini di Di Francesco a San Siro – non è solo un talento purissimo, è destinato a diventare un modello per i portieri del futuro. 
Perché viene «costruito» seguendo un metodo. Il metodo Milan: lo stesso dai giovanissimi alla prima squadra. Obiettivo: i portieri rossoneri devono essere riconoscibili, da Abbiati alla promessa (post Donnarumma) Plizzari. Quindi quando Gigio esce e salva di petto su Icardi o ruba palla dai piedi di Bruno Peres, per citare due uscite definite spericolate, c’è pochissima improvvisazione, nessuno spontaneismo giovanile, ma tantissimo lavoro, rischi calcolati, movimenti mandati a memoria. «Gigio ci è andato con la sigaretta in bocca su Bruno Peres: era sicuro di prenderla, perché era orientato nel modo giusto e in allenamento impara a fare le scelte corrette. Se lo fa Neuer è un fenomeno, se lo fa lui lo criticano perché dicono che ha rischiato il rigore. Ma noi stiamo costruendo, i nostri portieri si devono prendere responsabilità! Gigio poteva restare fermo in porta e prendere gol e nessuno l’avrebbe criticato, ma vedrete la strada è quella, Gigio sarà preso a modello». A parlare con passione è Alfredo Magni, il preparatore dei portieri rossoneri, colui che sta portato avanti la via milanista alla costruzione dei portieri. Oggi può dire che «Gigio in 19 partite non ha sbagliato una scelta. Non ha commesso una papera, solo sbavature». 
Magni è l’unico del «vecchio» staff a essere rimasto con il cambio di allenatore. «Galliani mi ha dato un mandato ampio e io sento la responsabilità, perciò lavoro 12 ore al giorno». L’idea di base è questa: «Tra la Primavera e la prima squadra il gap è devastante; tra la serie B e la A non c’è una categoria ma un abisso, sia a livello fisico, sia di conoscenze. Come lo colmi? Mandi i ragazzi in giro? Molto meglio cercare di aumentare le loro conoscenze qua». Di Gigio, Magni ha seguito la crescita, lavorando a stretto contatto con Brocchi quando era in Primavera, e ora con Mihajlovic: «La scelta coraggiosa di lanciarlo è stata del mister. Dite che Gigio è un predestinato, ma solo lui sa i sacrifici che ha fatto». 
Il metodo Magni si basa su alcuni pilastri: «La cosa più importante è il tempo: il portiere deve diventare un atleta e per questo devi avere i ragazzi tanto tempo a disposizione per lavorarci e conoscerli. Qui stanno almeno sei ore al giorno e la parola d’ordine è rispetto». Ma tanto tempo per fare cosa? «Lavoriamo su tre macroaree: fisica, tecnica e tattica. Partiamo dalla fisica: prevenzione, compenso, supporto alla struttura, sostegno, forza funzionale. Usiamo anche yoga e pilates. Solo la continuità dà la performance». Tecnica: «Tutti gli allenamenti vengono filmati e finita la partita c’è un sistema di match analisi molto sofisticato». Infine la parte tattica: «Il portiere non è mai solo, basta con questi psicologismi, quello che fa è sempre in funzione della squadra: per esempio deve sapere andare incontro ai compagni nel modo giusto. Hanno la palla gli altri? Deve distinguere se l’avversario è in zona tiro e allora coprire la porta o in zona assist e allora coprire gli spazi. Deve studiare gli stili di corsa; sapere che il primo passo orientato verso la palla è fondamentale». La parata più bella di Gigio? «Noi le chiamiamo “sag”: quando atterri con spalla, poi anca e ginocchio. Io direi una con la Lazio, quando ha deviato a mano aperta un tiro di Felipe Anderson». E con il Napoli ha sbagliato? «Non scherziamo, era una palla deviata, il suo passo corsa è stato perfetto». 
Arianna Ravelli