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 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Dehnoke, là dove i topi sono divinità da venerare

Migliaia di topi che ti zampettano sui piedi nudi: per gli occidentali un incubo da manuale di psicanalisi, per gli indiani un incanto e un privilegio mistico. Benvenuti al tempio di Karni Mata. Siamo nel villaggio di Dehnoke, estremo ovest del Rajastan, la regione più visitata dell’India grazie a gioielli come Jodphur la Città blu, Udaipur la Bianca, il Palazzo dei Venti di Jaipur la Rossa, lo scenografico deserto del Thar con la fiera dei cammelli di Pushkar e il tempio di Brahma, le fiabesche fortezze e i sontuosi palazzi dei mercanti (haveli) di Jaisalmer e Bikaner. Non lontano da queste meraviglie senza tempo sorge Karni Mata, il Tempio dei topi, escluso dagli itinerari turistici: un’esperienza forte, troppo forte, insopportabile. Anzi, consigliata.
La forza dell’India è proprio quella di trascinarti in una realtà inconcepibile e renderla naturale, quasi familiare. Ci vogliono trentatré milioni di divinità induiste per ricreare un equilibrio altrimenti impossibile, dare un senso e una spiritualità al Paese più carnale, sovrappopolato e contraddittorio del mondo. Ma anche quello più «animalista», perché ogni essere vivente ha una sua sacralità, un suo percorso e un suo kharma da rispettare: vacche, elefanti, scimmie, uomini, moscerini e topi, appunto, compresi.
Così per capire Karni Mata diventa d’obbligo fare prima due tappe: una al tempio quattrocentesco di Adinatha a Ranakpur, venti chilometri a sud, sontuosa culla del giainismo, l’antica religione della nonviolenza e del rispetto ecumenico, l’altra, poco più a nord, al maestoso tempio di Bhandasar di Bikaner dove affreschi cinquecenteschi raccontano le pene che spettano a chi maltratta gli animali, il più indegno dei 18 peccati capitali. Chi carica troppo un asino, per esempio, finisce appeso a un albero a testa in giù. Liberato lo spirito e accolta questa beatitudine universale, eccoci finalmente al Tempio dei topi, in raffinato stile moghul indo-islamico, segnato dal marmo bianco e dall’arenaria rossa.
L’elegante ingresso è chiuso in alto da un soffitto di fitte reti, per impedire che gli uccelli possano piombare sui topi e farne strage. Ai visitatori, che devono abbandonare le scarpe fuori – agli stranieri è concesso di tenere le calze, ma arrivati fin qui val la pena spogliarsi di ogni timore e calzatura -, vengono vendute a poche rupie zollette di zucchero, latte e impiastri dolci per nutrire i ventimila topi che presidiano il tempio. È proprio l’alto indice glicemico dell’alimentazione a garantire un controllo demografico – ventimila è il numero “giusto” – ed evitare un sovraffollamento eccessivo. Dentro, la paura si trasforma in serenità. Non ci sono spazi vuoti, i topi hanno preso tutto e si danno il cambio intorno alle ciotole del latte, nelle nicchie degli altari, lungo i muri, sui piedi e le gambe dei fedeli. Pellegrini di ogni età e casta passeggiano, anche per giorni interi, e si accomodano sui gradoni osservando il brulicare ossessivo dei piccoli roditori sorridendo beati quando uno di loro decide di sceglierli per una sosta o un passaggio veloce.In un pertugio del palazzo, le donne si accalcano per venerare Karni Mata al suono di campane e tamburi mentre i topi attraversano i loro sari rosso fuoco.
Il tempio è stato costruito a fine Novecento dal maraja Ganga Singh e dedicato a Karni Mata, vissuta fino a 151 anni attraversando due secoli (XIV e XVI), venerata come incarnazione della dea Durga. A questo punto si può scegliere, come le storie a bivi di Topolino, tanto per stare in tema. Le leggende diventano intriganti e incontrollabili. Ventimila soldati abbandonarono una battaglia e fuggirono al villaggio di Denhoke dove Karni Mata li accolse e ottenne di commutare la pena di morte prevista per i disertori nella loro trasformazione in topi. Se preferite: il figliastro di Karni Mata annegò in un lago e lei supplicò Yama dio della morte di resuscitarlo, ottenendone però la trasformazione in topo, non solo di lui ma di tutti i figli maschi che avrebbe avuto la donna. Variante: il figlio del cantastorie di Karni Mata annegò e, al rifiuto di Yama di ridargli la vita in quanto già reincarnato una volta, decise che tutti i menestrelli si trasformassero in ratti per negare al dio della morte le loro canzoni. In questo fiume di topi grigi e marroni in continuo movimento, si nascondono anche alcuni esemplari albini, considerati vere e proprie divinità: riuscire a scorgerne uno è segno di fortuna. Se poi ti sale su un piede è il bacio di Karni Mata.