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 2016  marzo 04 Venerdì calendario

La libertà di essere Venditti: «Quando me la sono presa e non l’ho lasciata più»

Fatica a descriversi, non credendo alle definizioni. Ed è forse anche per questo che Antonello Venditti ha trascorso tutta la vita non preoccupandosi troppo di quello che andrebbe detto, o fatto, ma semplicemente ha agito cercando ogni volta di essere fedele a nient’altro che la sua coscienza. Per molti è un poeta, il simbolo di una città, «ma per tanti anche un arrogante, un presuntuoso, un ignorante», racconta lui. Di certo, la sensazione che si ha mentre lo si ascolta parlare di sé è di trovarsi di fronte a una persona libera. «La verità è che la libertà che non ho avuto dalla mia famiglia, a un certo punto me la sono presa e non l’ho lasciata più», ammette. Libertà da una madre insegnante «che nella vita mi dava sempre quattro, come ho scritto anche in una mia canzone» e da un padre eroe della Seconda guerra mondiale: «Io sono la prova provata che almeno una volta hanno fatto l’amore», scherza.
Ma libertà anche dalla signorina Corpaci, la sua insegnante di pianoforte quando era adolescente «che quasi ho fatto impazzire. Il mio canto non è corretto e nemmeno il mio modo di suonare il piano. Lei cercava in tutti i modi di capire cosa avevo nella testa quando mi mettevo ad arrangiare Chopin. Io poi l’ho anche imparata la musica, ma a 14 anni ho rifiutato tutto e ho lasciato che il vero me venisse fuori senza mediazioni, senza padri. In pratica andavo a orecchio, tutto quello che facevo era irregolare». Anche oggi è lo stesso: «Quando suono il piano non uso mai il terzo dito. Perché? Mi viene così». E sempre così, senza pensarci troppo, ha iniziato a cantare mentre suonava: «Quando ero poco più che un bambino ho scritto “Sora Rosa”, che resta la canzone più bella che ho mai composto». Ma già allora non gli interessava ricevere complimenti al posto delle bacchettate: «L’idea di essere un “bravo cantante” mi faceva inorridire. Io volevo solo uscisse la mia voce interiore». Ci sono voluti quattro dischi per capire che della sua voce interiore (unita, certo, a quella esteriore) avrebbe potuto vivere: «Mi ero laureato in Giurisprudenza, con una specializzazione in Filosofia del diritto. E continuavo a frequentare l’ambiente dell’università. Credevo che un giorno sarei stato avvocato, magistrato... se fosse andata proprio bene notaio. Di certo l’idea di diventare famoso non mi interessava assolutamente, mi volevo soltanto esprimere». Anche per questo, nonostante i dischi, non c’era verso di farlo andare in tv. A un giovane cantante di oggi sembrerebbe follia. «Io allora volevo rivendicare la mia totale estraneità all’ambiente dello spettacolo. Snobismo? Forse. Ma era soprattutto il mio modo di oppormi alle canzonette che imperavano in quegli anni in televisione. Il mio era un rifiuto alla cultura dominante».
Un dilettante
Quarant’anni dopo, ancora una volta, non è cambiato moltissimo: «Anche oggi sono concentrato sull’arte e mi considero un dilettante: cerco sempre di imparare qualcosa e pretendo tanto da me». Un’altra costante sono i suoi occhiali da sole, sempre gli stessi. Un dettaglio che è diventato parte di lui: «Me li ha fatti scoprire una ragazza nel 1974. Venivano usati nella guerra in Vietnam perché nel cerchietto che c’è nella montatura i soldati sistemavano la sigaretta. Io – che avevo il pianoforte pieno di macchie proprio per le sigarette – ho deciso di usarli come simbolo pacifista. Da allora quei Ray-ban sono i miei occhi. Non me ne hanno mai regalato nemmeno un paio, però mi hanno avvisato quando stavano andando fuori produzione... così sono andato a comprarmene 20, 30 paia». Un carattere forte, spesso corteggiato anche dalla politica «ma la mia politica è quella che esce dalla mia anima. Non sono mai stato organico a nulla. Mi sento di sinistra ma l’ho sempre criticata tanto. Non riuscendomi a inquadrare tendo alla libertà di pensiero». Anche se ammette di avere «un modo forte di esprimere le mie opinioni, con toni a volte anche sbagliati, sopra le righe. Per questo forse in generale non ho amici. Conoscenti molti, ma amici veri pochi».
Amore e odio
Si sente travolto da ondate di amore e di odio: «Amore quando canto, odio quando parlo. Sono state usate politicamente anche le parole che dico nei miei concerti. Questo mi opprime un po’. Nel prossimo tour ci sarà solo musica». Ma così come è difficile contenerlo, lo è anche farlo aderire a un ruolo: «Anzi, spesso li vivo capovolti e non mi fa stare benissimo. A volte sono nonno, a volte padre, a volte figlio, in un turbinio continuo di età...». Questo non fa soffrire chi le vuole bene? «Le persone che mi amano devono accettarmi per quello che sono. Io le ho scelte per le loro qualità anche se alla fine sono quelle a cui dedico meno tempo... poi magari passo le giornate a pensarci. I miei nipoti sono fantastici, ma magari a volte mi vorrebbero vedere come un nonno, appunto. Invece non so fare le “cose da nonno”. Sono più uno che dà attenzioni quando meno te lo aspetti».
Di nuovo padre
In questo scambio di ruoli continuo, potrebbe ancora diventare padre? «Non lo escludo». E finora che tipo di papà è stato? «Penso di avere un bellissimo rapporto con mio figlio, un rapporto telepatico. Credo di avergli dato un’educazione sentimentale. L’ho cresciuto più ascoltando che giudicando». Tra i suoi grandi amori c’è anche Roma: «Sto scrivendo un piccolo romanzo ambientato a Roma. Parlo della città attraverso una storia d’amore. Non avrei mai sospettato di scrivere un altro libro, eppure...». In quello precedente diceva: «Si chiama gioventù quella cosa che quando la vivi è un inferno e quando la ricordi è un paradiso». L’8 marzo compirà 67 anni: la pensa ancora così? «Sì. Ma la cosa importante è continuare nella ricerca della felicità che c’è in quegli anni. Felicità e non serenità, che è l’accontentarsi di sentimenti tiepidi. Io sono nato per sentimenti forti».