Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 04 Venerdì calendario

La strana guerra-non-guerra all’Isis che si combatte a cavallo fra due Paesi

Erano tre pie donne col niqab. Le hanno prese lunedì scorso mentre uscivano dalla moschea di Ben Gardane, la capitale tunisina dei dromedari, la città più lontana dalla capitale, l’ultima porta costiera per la Libia. L’intelligence britannica le teneva d’occhio e quando ha capito che le tre avevano appena pregato e stavano per partire, destinazione Sabratha, è scattato il blitz: i corpi speciali tunisini a mettere le manette, gl’inglesi più discreti e lontani a controllare che tutto filasse liscio. Sparare in Libia per proteggere la Tunisia. La strana guerra-non-guerra all’Isis che si sta combattendo a cavallo dei due Paesi si chiama «contain and degrade», contenerli fino a logorarli: droni dal cielo, un po’ di miliziani sul terreno, molte barbe finte a monitorare le barbe lunghe. Strategia usata già nello Yemen. Con una variante: il contenimento (soprattutto) dei confini. Perché il raid o il conflitto a fuoco che forse ha complicato la situazione dei due ostaggi italiani, a pochi chilometri dalla Tunisia, nasce dal timore che questi 459 km di frontiera diventino la via di fuga del Califfo. E che la Terra dei Gelsomini finisca per rimanere soffocata dall’erba cattiva della guerra santa: il governo Essid ha aperto giorni fa un’unità di crisi, dopo la segnalazione che i fighter libici del Califfo sono in realtà, e quasi sempre, tunisini. Lo stesso bombardamento di Sabratha aveva lo scopo d’uccidere l’ideatore degli attentati 2015 al Bardo e a Sousse. Da settimane, lungo questa linea, entrano ed escono tutti i Paesi chiamati a risolvere la grana libica: gl’inglesi, con una ventina d’incursori della 4th Infantry Brigade; gli americani, con un sistema sofisticato di sorveglianza elettronica; i tedeschi, addestrando le milizie libiche e fornendo gipponi; gl’italiani, con consiglieri militari e ricognitori. La Tunisia s’è sigillata, 250 km di filo spinato srotolati in quattro mesi, e il suo ministro della Difesa ripete spesso d’essere contrarissimo a un intervento internazionale in Libia, ma si dimostra assai favorevole a contenere e logorare con l’aiuto d’americani ed europei. I risultati si son visti: poche ore prima che si sapesse dei morti italiani, cinque jihadisti sono stati uccisi. Erano tunisini. Erano stati segnalati dai servizi americani il 19 febbraio. E stavano entrando a Ben Gardane: in fuga da Sabratha.