Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Scrivere libri di viaggio, istruzioni per l’uso

Uno dei luoghi più comuni della letteratura è che i libri di viaggio siano più facili da scrivere dei romanzi o più in generale della fiction. C’è chi pensa di essere in grado, andando in luoghi remoti e sconosciuti a Dio e agli uomini, di trasformare felicemente in un bel testo letterario quella massa di foglietti appuntati frettolosamente chiamato diario. Ma un’esperienza dettata da molti anni dice esattamente il contrario. I libri di viaggio sono più difficili da scrivere e comunque sono così pieni di trappole e inganni che molti sono rimasti azzoppati, mettendosi seduti davanti alla macchina da scrivere. Con il loro corpaccione i romanzi possono sopportare e inglobare senza danno eventuali scartamenti al tema fissato. Ma il libro di viaggio non consiste in una galleria di immagini con vista. Se non è chiara la sua ragion d’essere e se è privo di una struttura, cioè un inizio, una parte mediana fatta ad arco e un finale decente, il libro naufraga miserevolmente nella noia.
Quando Chatwin portò il suo primo libro di viaggi In Patagonia all’editore, questi non lo lesse nemmeno ma lo affidò alle esperte mani della sua redattrice Susan Clapp, che tagliò un terzo dello scritto senza pietà. E fece riscrivere a Bruce tutti gli attacchi dei capitoli che non partivano con la velocità richiesta per raggiungere la zona di sicurezza. Quanto alle balle che lo scrittore ha raccontato nel suo bellissimo libro, la Clapp fu d’accordo nel lasciarle se avevano una funzione di supporto letterario o erano essenziali al racconto.Tutti e due pensavano che uscire puliti da una storia di viaggi rifacendo esattamente l’itinerario come sosteneva Paul Theroux fosse il compito di un geografo. Chatwin non ha mai creduto che l’onestà fosse un dovere dello scrittore. Molto più importante e essenziale era costringere il lettore a voltare pagina dopo pagina fino alla fine senza interruzione. Dentro In the road to Oxiana ci sono numerose conversazioni che Robert Byron avrebbe avuto con i locali nella lingua locale. Questo grande scrittore non sapeva una parola che non fosse l’inglese upper class. Ma queste sue invenzioni non danneggiano minimamente il testo letterario.
Un’altra differenza con il romanzo e con i racconti è che la fantasia, quando ce l’hai veramente ed è di prima categoria, risulta un aiuto assolutamente formidabile per lo scrittore. Ma i libri di viaggio devono essere trattati in modo tale che la fantasia si applichi a cose effettivamente viste e provate. Al posto dell’invenzione ci deve essere uno sguardo diverso tra il viaggiatore e i paesi che va visitando, il suo occhio deve essere non solo più acuto ma deve tirar fuori quello che agli altri sfugge.
V. S. Naipaul é uno che ha sempre applicato non solo lo sguardo, il più intellettuale dei sensi, quello che misura e giudica, ma anche l’udito, il tatto e l’olfatto.I suoi magnifici racconti ci trasmettono anche il profumo o il puzzo delle cose e abbiamo una sensazione quasi tattile di quello che scrive.
Una volta gli scrittori di viaggio erano aiutati dal fatto che potevano raccontare le loro visioni anche quando esse si presentavano piatte, arricchendole e infiorettandole con partico- lari che non esistevano, perché la conoscenza del mondo era limitata. Come facevano i giornalisti sportivi come Natale Bertocco, molti anni fa, che scrivendo sul giro d’Italia inventavano fughe mai avvenute dei ciclisti famosi perché non c’era la camera della televisione a dimostrare il contrario.
Ma oggi tutti hanno visto tutto, la conoscenza del mondo si è ampliata enormemente e non c’è posto recondito dove non sia arrivata la camera televisiva. I viaggi hanno preso per lo spettatore normale una caratteristica di déjà-vu. In qualsiasi posto il viaggiatore voglia andare per scriverne dovrà essere consapevole di essere sorvegliato da migliaia di lettori pronti a legnare sulle mani l’autore se si sbaglia di qualche particolare, e a scrivere indignati se ha raccontato delle balle.
Già nell’Ottocento, quando la letteratura era al centro della cultura europea, gli editori con la piena consapevolezza di come i lettori fossero distratti avevano inventato il feuilleton, un sistema narrativo rozzo ma efficace pubblicato dai giornali a puntate che faceva salire il tono del dramma o della commedia alla fine di ogni capitolo, per suscitare una curiosità irresistibile nei lettori, spinti a comprare la puntata successiva.
Uno dei più noti feuilleton è stato I misteri di Parigi di Eugene Sue, ma in realtà il vero capolavoro del genere è rappresentato dai I tre moschettieri, un libro che qualcuno si ostina ancora a relegare nella letteratura dell’infanzia o come un testo ad effetto, scritto con intenti e tecniche puramente commerciali, e che non rientrerebbe nella letteratura alta. Ma chiunque abbia preso in mano per la prima volta questo libro è stato subito catturato dal ritmo e dalla storia del tutto irresistibile: D’Artagnan e i suoi amici passano da un duello all’altro iniziando la mattina presto nel giardino del Luxembourg e finendo in qualche locanda sulla strada per Calais.
Scrivere è un piacere ma nello stesso tempo una maledizione. La letteratura può essere leggera come diceva Calvino ma non futile ed è estremamente impegnativa. È un apprendistato spietato che si combatte sotto la visione di «no prisoners», l’urlo di battaglia degli Howeitat, i bedù tagliagole guidati da Auda Ibu Tayi nel finale del libro di Lawrence I sette pilastri della saggezza.
Quali sono le tecniche e i migliori esempi, i modi di iniziare un capitolo o un libro? Non è detto che chi scriva un bell’attacco sappia poi scrivere un bel romanzo. Uno dei più begli attacchi della letteratura mondiale del Novecento è quello di Aden Arabia di Paul Nizam e comincia così: «Ho anch’io avuto vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che questa è stata la più bella età della nostra vita». Ma il resto del libro è deludente e non all’altezza dell’incipit.
Mentre c’è un altro scrittore, Marcel Proust, che ha un inizio molto citato e che fa così: «Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera» (la traduzione è di Natalia Ginzburg), un inizio lento ma si suppone che chi ha scritto questo incipit non si preoccupava dell’attacco, perché sapeva di avere ben altre risorse da mettere in gioco.
*Pubblichiamo la lezione introduttiva al corso di scrittura di viaggio che Stefano Malatesta terrà alla libreria L’Argonauta di Roma per info www. librerialargo nauta. com (06 8543443)