la Repubblica, 4 marzo 2016
Il difficile mestiere dell’ambientalista in America Latina
«Abbiamo ammazzato il tuo compagno, uccideremo anche tua madre, rapiremo i tuoi figli, ti violenteremo e poi ti uccideremo». Così vivono, in America Latina, quelli come Berta Caceres, leader indigena e leader ambientalista (due fronti sempre più spesso coincidenti), sotto il tiro costante degli sgherri della predazione territoriale, del disboscamento, della privatizzazione delle acque e delle foreste. Nella sola America centrale i fiumi “privatizzati”, ovvero dati in concessione esclusiva ad aziende del settore estrattivo, sono una quarantina. Opporsi nel nome di culture antiche, economicamente e tecnologicamente poco sviluppate, è considerato un patetico arcaismo, da spazzare via con ogni mezzo. La disparità di potere e di ricchezza, nella guerra di classe e di culture che si combatte attorno alle grandi foreste pluviali, è annichilente. La illustra con asciutta sintesi una canzone di De Gregori (L’aggettivo mitico): “uomini col machete sui fuoristrada, uomini a piedi nudi lungo la strada”. Secondo diverse fonti (ong, osservatori internazionali sui diritti) i militanti ambientalisti assassinati in America Latina sarebbero almeno un centinaio ogni anno. Berta Caceres è stata uccisa da sconosciuti ieri notte, nella sua casa in Honduras. Figlia di una levatrice, apparteneva al popolo Lenca. Aveva quattro figli, tutti rifugiati in Argentina.