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 2016  marzo 04 Venerdì calendario

Cosa cerchiamo in un museo?

Cosa cerchiamo in un museo? Entriamo nelle auguste sale del Prado, del Louvre, degli Uffizi, compunti come se andassimo a scuola, desiderosi di sorbirci una lezione, di scorrere un compendio, un’antologia del gusto dei nostri antenati?
Oppure ci aggiriamo annusando quadri come spezie in un bazar – un profumo di madonne medievali, qualche bel nudo rinascimentale, crocifissi barocchi e damine del Settecento? O ancora, ci aggiriamo reverenti e indifferenti come in un gabinetto di zoologia, ammirando fossili di civiltà estinte? Se è così, i musei e le gallerie nazionali sono solo pittoreschi ammassi di rovine. Eppure non sono nati per questo.I principi, i papi, i re, gli imperatori e i magnati le cui raccolte hanno originato quegli organismi vagamente mostruosi che chiamiamo “musei” non avrebbero mai immaginato di dover fissare una linea temporale invalicabile alle loro acquisizioni. Più di tutto, fra l’altro, bramavano l’arte a loro contemporanea.Volevano conservare ma soprattutto scoprire, e perciò scommettevano sul nuovo.
Questo però non esiste se non in opposizione con la tradizione. E questa muore se non genera confronto o perfino rifiuto. Separare l’una dall’altro in base a un crinale meramente cronologico è una mistificazione. Gli artisti non ragionano così.
Un maestro del Novecento come Francis Bacon era ossessionato da Michelangelo e Velázquez. E con loro dovrebbe poter essere esposto. Le Demoiselles d’Avignon di Picasso, le composizioni astratte di Kandinskij o i quadrati di Malevic sono stati per l’arte come l’assassinio di Sarajevo per la storia. Ma se un proiettile esploso non può tornare nella canna della pistola, l’arte non è condannata a una traiettoria sola – e il senso della ricerca degli artisti è dato dai loro andirivieni, dai loro ripensamenti.Per evitare che i musei diventino dei cimiteri di bellezza, bisogna che respirino. Che possano cioè crescere, affinché il filo di quel discorso non si interrompa e continui a dipanarsi nelle nostre mani.
Accade nel museo più visitato in terra d’Italia. I milioni di turisti che affollano i Musei Vaticani, sazi di Raffaello e Michelangelo, attraversano correndo le ultime sale, gli occhi alle frecce che conducono all’uscita. Non si accorgono neppure che su quelle pareti neglette ci sono quadri di Redon, Chagall, Ensor, o Bacon. Un papa (Paolo VI) ha osato contaminare il classico col contemporaneo. Forse l’attuale polemica indurrà a riflettere sulla vitalità di questa sfida.