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 2016  febbraio 22 Lunedì calendario

La massoneria spiegata dal Gran Maestro Giuliano Di Bernardo


Al dito sfoggia un anello rosso con impressa una “D” color oro e all’occhiello della giacca una spilletta con lo stesso simbolo, quello del suo nuovo ordine, “Dignity”, che conta un centinaio di adepti. Il settantasettenne Giuliano Di Bernardo, professore universitario in pensione, oggi è fuori dalla massoneria ufficiale, ma per essa resta un riferimento imprescindibile.
A fine febbraio uscirà per Marsilio un’edizione rinnovata della sua “Filosofia della massoneria e della tradizione iniziatica”, con una quarantina di nuove pagine che raccontano gli ultimi venticinque anni di storia dell’Italia, visti con occhio massonico.
Di Bernardo si innamora di grembiule e compasso a quindici anni, quando nel suo paesino d’origine, Penne, sulle montagne abruzzesi, arriva un funzionario toscano dell’Ufficio del dazio, un “fratello” in cerca di proseliti. Giuliano, figlio di un falegname “profano” e di una Leopardi, rimane folgorato da quel mondo misterioso. Nel 1961 diventa massone e dopo pochi mesi lascia un sicuro posto in banca per trasferirsi all’Istituto superiore di Scienze sociali di Trento dove si laurea in Sociologia.
In quegli anni entra nella celebre loggia bolognese dei docenti universitari, la Zamboni-De Rolandis. Nel 1979 vince la cattedra di Filosofia della Scienza e nel 1987 dà alle stampe la sua “Filosofia della massoneria”. Grazie a quel libro e alla sua fama di professore nel 1990 diventa prima Gran maestro del Grande Oriente d’Italia, squassato dallo scandalo P2, quindi fondatore della Gran loggia regolare d’Italia. Nel 2002 lascia la massoneria per dedicarsi a due nuovi ordini esoterici: l’Accademia degli Illuminati e Dignity.
Lo incontriamo nella sua splendida dimora patrizia sulle colline di Trento, villa Manci, avvolta da un rigoglioso parco e da vigneti di chardonnay e pinot nero.
Professore, con la massoneria si diventa ricchi?
«Macché. Questa casa appartiene alla famiglia di mia moglie dai tempi del concilio di Trento. Un suo antenato spagnolo fu un padre conciliare. Io da Gran maestro del Goi avevo un appannaggio di 185 milioni di lire, ma lavoravo a tempo pieno e avevo rinunciato a tutti gli altri miei introiti».
Lei ha iniziato la sua carriera come assistente di Sociologia a Trento alla fine degli anni ’60: avrà incrociato Renato Curcio, il fondatore delle Brigate rosse...
«È stato un mio allievo. All’epoca non sembrava un rivoluzionario. Anzi, era un giovane vanitoso e lo ricordo girare per la facoltà con un giaccone di montone regalatogli dalla madre. Era un capo esclusivo e lui ne era molto orgoglioso. In una baruffa con un ragazzo africano, colpevole di corteggiare Mara Cagol, futura compagna d’armi e di vita di Curcio, il giaccone si strappò e ricordo Renato quasi in lacrime».
Che studente era?
«Non primeggiava e aveva notevoli difficoltà a superare gli esami di matematica e di statistica. Poi interruppe gli studi e riapparve sui giornali come capo delle Br. Pensai a un caso di omonimia».
A Trento conobbe altri big della sinistra extraparlamentare come Mauro Rostagno e Marco Boato?
«Erano agli antipodi. Uno viveva le umili origini con rabbia, l’altro aspirava alle vette della politica e le ha raggiunte».
Veniamo alla massoneria. Come si diventa “fratelli” oggi?
«Basta andare su Internet, riempire un modulo e chiedere di essere ammessi. L’accoglimento della domanda ha pochi filtri. Si entra e si esce in cerca di favori e lavoro. La massoneria è diventata una specie di albergo a ore. Ai miei tempi l’obbedienza era elitaria, i fratelli venivano scelti uno a uno e la loro valutazione poteva durare mesi».
Lei è religioso?
«Io sono sempre stato ateo e darwiniano. Per me l’uomo è una tra miliardi di specie viventi, ma si differenzia per la corteccia cerebrale e questo foglio di un metro per un metro di cellule neuronali ci consente di riflettere su noi stessi, di creare le grandi civiltà, la logica, la scienza, l’etica, l’estetica e la religione. Nei miei ordini parliamo di Dio, ma come invenzione dell’uomo».
Che cosa cercava un ateo dentro alla massoneria?
«Una comunione di uomini orientati nella loro condotta verso principi etici universali. È quanto sto cercando di realizzare con l’ordine Dignity».
In questo periodo si fa un gran parlare di massoneria. Per esempio sono finite nella bufera due banche considerate legate alle obbedienze: prima il Monte dei Paschi di Siena e ora la Popolare dell’Etruria...
«Ritengo che i massoni che hanno operato in questi istituti siano andati oltre i principi della “fratellanza”. Hanno violato regole e valori».
È vero che il fondatore dell’Etruria Elio Faralli le chiese di benedire la banca?
«Sì. Mi fu presentato nella sede romana del Goi e mi illustrò le ragioni per cui aveva fondato con altri l’istituto sottolineando l’aiuto che avrebbero dato alle aziende del territorio. Lo scopo era nobile e per questo gli concessi l’incoraggiamento ufficiale a procedere che cercavano da me. Ricordo che quel giorno, come ringraziamento simbolico, donarono a mio figlio alcune azioni dell’Etruria».
Intorno alla banca aretina hanno ruotato anche personaggi in odor di massoneria come Flavio Carboni, Gianmario Ferramonti, Giancarlo Elia Valori. Li conosce?
«Non li ho mai voluti incontrare».
Invece lo hanno fatto il presidente Lorenzo Rosi e il vicepresidente Pier Luigi Boschi.
«Evidentemente erano in grave difficoltà e cercavano una soluzione al di fuori delle istituzioni».
A dicembre è morto Licio Gelli. Che rapporti aveva con lui?
«Non gli ho mai concesso udienza. Anche se nel 1990 mi ha scritto due lunghe lettere. Cercava la riabilitazione per la P2».
Sa che fine abbia fatto la lista completa degli appartenenti a quella loggia?
«A questo riguardo ho un prezioso aneddoto. Qualche mese dopo la mia elezione a Gran maestro venne a trovarmi il segretario personale del mio predecessore Ennio Battelli, il quale mi riferì un episodio di cui era stato testimone diretto. Gelli aveva mostrato a Battelli l’elenco completo della P2, un fascicolo rilegato con tutti i nomi. Quel giorno il Gran maestro incominciò a leggere. Il colore del suo volto cambiava continuamente e in preda a forte agitazione restituì il documento, dicendo che lui non lo aveva mai visto. Successivamente il segretario gli chiese che cosa avesse letto. La sua risposta fu: “Voglio dimenticarlo”. Da questo il segretario trasse la convinzione che i nomi dovessero essere veramente molto importanti. Disse anche che il fascicolo era voluminoso e che Battelli parlava di migliaia di nomi. Su questo episodio ha rilasciato una dichiarazione scritta al mio segretario personale Luigi Savina. Purtroppo quest’ultimo è morto, ma forse quel documento si può rintracciare».
Lei nell’ultima versione della sua «Filosofia della massoneria«confessa di aver gestito personalmente i rapporti tra Bettino Craxi e il governo rumeno e che da casa sua passavano papelli riservati. Nella sua vita ha fatto l’ambasciatore per altri presidenti o ha svolto funzioni simili?
«Sì. Nei paesi in cui operavo per ricostruire la libera muratoria si chiedeva il mio intervento per favorire i rapporti con l’Italia».
Tra i premier dell’epoca chi era massone?
«Mi risulta nessuno, anche se Giulio Andreotti era molto legato a Fausto Bruni, il fondatore della Gran loggia generale d’Italia».
Perché ha lasciato la massoneria ufficiale?
«Io sono stato l’unico filosofo a diventare Gran maestro del Goi e questo si è dimostrato un problema. Nelle obbedienze italiane serve gente principalmente capace di risolvere problemi concreti, specialmente quelli personali».
Sta dicendo che fanno più carriera i maneggioni?
«Molto spesso avviene questo».
Che giudizio dà dei suoi due successori Fabio Venzi e Stefano Bisi, rispettivamente gran maestri della Glri e del Goi...
«Bisi non lo conosco. Venzi è stato per me una profonda delusione. Nella prima riunione di Gran loggia del giugno 2002 ha fatto approvare due provvedimenti: quello che raddoppiava la durata del suo mandato e quello che gli conferiva un appannaggio faraonico. Successivamente ha cercato di farsi eleggere Gran maestro a vita».
Però Venzi lo ha nominato lei Gran segretario, era il marito di una sua nipote...
«Mi avevano chiesto di aiutarlo, ma oggi devo ammettere che è stato uno dei peggiori errori della mia vita».
Le indagini giudiziarie ci raccontano che la criminalità organizzata si stia infiltrando nel Nord Italia grazie alla massoneria e che molti ’ndranghetisti siano maestri venerabili...
«Purtroppo i due mondi condividono una metodologia comune».
Quale?
«Il vincolo forte dell’iniziazione. Esprime un’autorità che discende dall’alto verso il basso, serve, come riti e paramenti, apparentemente anacronistici, a garantire l’obbedienza e a non far mettere in discussione continuamente gli ordini».
Lei fu indagato dall’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova...
«Finii sotto inchiesta in quanto rappresentante legale del Grande Oriente. Cordova aveva verificato che molti mafiosi calabresi appartenevano anche alla massoneria. Una situazione di cui io non avevo cognizione».
Lei fu costretto a consegnare tutti gli elenchi degli iscritti. Qualcuno non gliela perdonò...
«Non potevo non farlo. Ne approfittarono coloro che già stavano tramando contro di me. Io ero preoccupato per la pubblicità degli elenchi non perché ci fossero nomi di delinquenti o di personaggi famosi, ma per il livello mediocre di molti adepti. Che dopo l’indagine si è ulteriormente abbassato».
Nel 2002 lei ha ideato l’Accademia degli Illuminati. Tra i fondatori c’erano autorevoli esponenti del mondo Rai come l’avvocato Rubens Esposito, l’ex consigliere Sergio Bindi e l’attuale membro del cda in quota grillina Carlo Freccero...
«Quando si è diffusa la notizia che stavo cercando personaggi per costituire gli Illuminati mi sono stati proposti questi nomi. Ho conosciuto Freccero quando era direttore di Rai 2. Fu sua l’idea di concludere il programma Satyricon di Daniele Luttazzi, entrato nell’occhio del ciclone per un attacco a Silvio Berlusconi, con una puntata sulla massoneria. In quell’occasione Carlo mi ha subito espresso entusiasmo per la mia idea di far rinascere gli Illuminati di Baviera. Per realizzare il comune progetto ci siamo visti più volte».
Tra i fondatori dell’Accademia c’era anche l’ex direttore del Sismi Bartolomeo Lombardo.
«Lombardo era stato ai vertici dei servizi con Flaminio Piccoli di cui era molto amico. Non so quali fossero le motivazioni del suo interessamento, certo lo ricordo come una persona squisita».
Tra i sottoscrittori dell’associazione figurava pure il professor Severino Antinori.
«Si avvicinò a noi per aver sostegno nella sua battaglia per la fecondazione assistita».
Frequentavano la sede di Piazza di Spagna scienziati, giornalisti, politici.
«Qualcuno è venuto. Tra questi l’ex ministro Dc Vincenzo Scotti, interessato a portare in Italia l’università da lui fondata a Malta, i diessini Claudio Velardi, Antonio Napoli e Nicola Latorre, che mi invitò a visitare la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema».
Del consesso facevano parte esponenti del mondo cattolico come l’accademico dei lincei e fondatore di Forza Italia Vittorio Mathieu, molto vicino all’Opus dei, il cappellano militare Patrizio Benvenuti, recentemente arrestato per una presunta truffa da 30 milioni di euro, e monsignore Giorgio Eldarov, il diplomatico vaticano che seguì personalmente la pista bulgara dell’attentato al Papa...
«Sino a quel momento non avevo mai avuto rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, anche a causa della loro chiusura verso il Goi. Poi l’atteggiamento cambiò. Eldarov mi propose di incontrare in Vaticano, negli uffici della segreteria di Stato, un uomo di grande vedute, il sottosegretario agli Esteri monsignor Pietro Parolin. Nacque un rapporto di collaborazione e di stima. Insieme abbiamo riflettuto sui destini dell’umanità. L’ho incontrato tre o quattro volte. Poi è stato inviato come messo apostolico in Argentina e ho perso i contatti. Quando è diventato segretario di Stato l’ho cercato per congratularmi e ci siamo risentiti».
Che cosa pensa Parolin dei massoni e dell’esoterismo?
«Non ha un atteggiamento negativo e ostile. Ritiene che, nel futuro dell’umanità, intelletti pensanti appartenenti a mondi diversi possano partecipare a un progetto comune per il benessere dell’umanità».
Il fondatore del Movimento 5 Stelle Gian Roberto Casaleggio si dice sia molto interessato alle questioni iniziatiche e che abbia incontrato per parlarne un suo stretto collaboratore.
«Sì, lui vede la Rete in maniera esoterica. Solo il M5S per le sue dichiarazioni programmatiche potrebbe far saltare questo sistema politico e portarci verso un nuovo ordine sociale. Ma per riuscirci dovrebbe continuare a non accordarsi con nessun partito politico».
Nel suo libro lei ci fa sapere che non crede più nella democrazia, ma sogna una tirannia illuminata. Ritiene che Beppe Grillo e Casaleggio la pensino come lei?
«Il modo di intendere la Rete di Casaleggio va nella mia stessa direzione. La differenza è che lui crede che un’intelligenza artificiale forte acquisirà una coscienza e governerà il mondo, io no. Per me la Rete sarà sempre controllata dagli uomini».
Qual è il suo prototipo di tiranno illuminato?
«Se proprio devo fare un nome, direi il Papa».
Lei parla di piramide rovesciata nella massoneria attuale. La ritiene forse troppo aperta?
«La società moderna e globalizzata richiede che chi la governa abbia capacità di capire le sfide che ci vengono incontro. Per questo bisogna tornare al concetto di élite della massoneria inglese: per governare gli uomini ci vogliono i saggi, non le masse. Pochi uomini scelti, uniti in un progetto dal vincolo forte dell’ iniziazione.
C è necessità di menti superiori».
E Matteo Renzi lo è?
(Ride) «Lui è un uomo pratico che sa interpretare i bisogni della gente».