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 2016  febbraio 16 Martedì calendario

L’ossessione carnivora di Omero

Ulisse ed Enea, le mura di Troia e il ritorno (nòstos) dell’eroe a Itaca. Ma l’Iliade e l’Odissea parlano anche di cibo e di tavole dove scoppiano amori e si uccidono nemici. Di affari e politica si parla dopo: una delle formule più ricorrenti dell’Odissea è “dopo che si furono tolta la voglia di mangiare e bere...”. Tra mito e storia, un libro di Paolo Lingua, La cucina di Omero (editore Il Nuovo Melangolo, pp. 91, euro 7), entra nel dettaglio di piatti e ricette presentate dal cantore cieco, seguendo le peregrinazioni dell’astuto polymechanos che cento ne fa e pensa.
Dalle stalle di Eumeo al “nepente” di Elena – leggendario farmaco capace di rimuovere l’ira e il dolore – queste pagine raccontano l’ossessione carnivora che percorre i 24 libri dell’Iliade ma ricostruiscono anche, come nel Libro III dell’Odissea, i banchetti rituali di Nestore. L’alimentazione dei guerrieri è semplice: solo carne, arrostita, spiedata e, in taluni casi, bollita. Tori, buoi adulti o vitelli, agnelli e montoni, capretti, maiali ingrassati. Qualche rara concessione ai cinghiali, di casa nell’isola vegliata da Penelope. Elementari anche le tecniche di cottura, non troviamo la cacciagione ma solo animali d’allevamento.
LE MENSE
Sulle mense di re e principi guerrieri, accanto alla carne abbrustolita, come unico accompagnamento c’è il pane, sempre bianco e di farina pregiata. Non pani lievitati ma bassi e schiacciati. Nei boccali è re il vino, di cui in alcuni casi, per valorizzarne la qualità, si indica la località di provenienza. Si parla anche di una particolare cura (epimè- leia) – se si vuol fare onore all’ospite – nello scegliere gli stalli pregiati, le parti più saporite dell’animale, prima di disporre il trancio infilzato nello spiedo sul fuoco o sulle braci. Gli eroi, dunque, amano la carne. Niente erbe o aromi e neanche ci si imbatte in zuppe o pasticci di cereali e legumi. Le bestie, scuoiate e fatte a pezzi vengono infilzate in spiedi che hanno cinque diramazioni come le dita di una mano (ma si può arrivare anche a sette bracci): serviva a scegliere gli stalli migliori, dopo che agli dèi erano state offerte le coste ossute e si erano assaggiate le viscere sacre. La sapienza di mense antiche si assapora anche in tutta la sua bellezza letteraria: «Tutti si siedono a mensa: appare allora, bellissima, Nausicaa, cui Ulisse rivolge un saluto gentile. Si tagliano e si distribuiscono le carni arrostite, si vuotano le coppe. Entra nella sala il cantore Demodoco e Ulisse taglia lo stallo più saporito e ghiotto, lo schienale di un maiale, e lo offre al vate in segno di rispetto. Demodoco pizzica lo strumento e canta la caduta di Troia...».