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 2016  febbraio 16 Martedì calendario

Non solo Champions

L’Europa è il casinò del calcio moderno. Si gioca per andarci. Si gioca per restarci. Si gioca per guadagnarci. Tornano, in settimana, Champions ed Europa League. La coppa regina e l’unica scampata alla sua arroganza. Fino al 1999 c’era anche la Coppa delle Coppe. Uccisa perché ingombrante. L’ultima edizione se l’aggiudicò la Lazio.
Europa e campionati. Le idi di marzo incombono, l’intreccio si fa spasmodico. Se escludiamo la favola del Leicester di Ranieri, che ha fatto tornare bambini persino i ricconi della Premier, il torneo più palpitante è il nostro, agitato dal sorpasso della Juventus sul Napoli. Quindici vittorie consecutive e da meno undici (dalla Roma, il 28 ottobre) a più uno. Ha deciso Zaza, riserva delle riserve. Il più invasivo, e invasato, del branco.
La Juventus è vice campione d’Europa uscente, e nell’andata degli ottavi affronterà, la sera del 23 febbraio, il Bayern Monaco di Guardiola. I bavaresi, padroni di Germania, hanno la difesa a pezzi e sono attraversati da scariche sinistre: Pep sul piede di partenza (da luglio allenerà il Manchester City); Ancelotti pronto a subentrargli; le bevute di Vidal, molto apprezzate dai tabloid (ma non da Rummenigge). Il fatto che la finale si disputi a San Siro stuzzica l’appetito, soprattutto a Torino.
L’onore di aprire le danze tocca alla Roma. Domani all’Olimpico, con il Real Madrid. Lo squadrone di Cristiano Ronaldo, Benzema, Modric, Bale (infortunato). Roma e Real giocarono in Champions addirittura l’11 settembre 2001. Un martedì. L’attacco terrorista agli Usa spaccò la storia. Il fumo delle Torri gemelle, trafitte e collassate, fece il giro del mondo. La Uefa rinviò le partite del giorno dopo, solo quelle. E così a Roma si scese in campo. Allenatori, Capello e Del Bosque. Vinse il Real, 2-1: Figo, Guti, Totti su rigore. Totti, proprio lui: il pallino dei blancos. Era la fase a gironi e in rosa c’era anche Zidane. Che poi avrebbe risolto, con una strepitosa acrobazia, l’epilogo di Glasgow, contro il Bayer Leverkusen.
Oggi Zidane è il tecnico. Ha sostituito Benitez che aveva sostituito Ancelotti che aveva sostituito Mourinho. Florentino Perez sembra un personaggio uscito dalla penna di Gabriel Garcia Marquez, e invece è un presidente che crede solo nel suo “io”. I pronostici baciano, con pudore, il Real dei paradossi: straripante al Bernabeu, ballerino in trasferta. La Roma di Spalletti vola basso, orgogliosa del poker di successi e felice per il risveglio di Dzeko.
Da un fronte all’altro. Giovedì, andata dei sedicesimi di Europa League. Villarreal-Napoli (la più curiosa), Fiorentina-Tottenham (la più sfiziosa) e Galatasaray-Lazio (la più calda). Il Napoli di Sarri non è stato il solito Napoli, allo Stadium. Veniva da otto vittorie, ha preferito i calcoli alla sfrontatezza invocata dal mister, pagandone il fio sul più brutto, agli sgoccioli. I “momenti Higuain”, non meno cruciali e affascinanti dei “momenti Federer”, hanno fruttato la miseria di un brivido. Nel frattempo, occhio agli spadaccini del Villarreal, la società che forgiò Pepito Rossi prima di consegnarlo alle coccole di Firenze e alle pugnalate del destino.
Gli spagnoli, quarti nella Liga, praticano un mordi e fuggi vampiresco. E poi siamo alle solite: il turnover s’impone, d’accordo, ma in che dosi? Il Tottenham, da parte sua, le ha appena suonate al Manchester City. È secondo. La Fiorentina ha rimontato l’Inter e rimane terza. Nervi tesi, al Franchi, e Mazzoleni nel mirino. Determinanti i cambi di Paulo Sousa. Zarate e, specialmente, Babacar: suo il “do di petto” della sentenza. Il terzo posto significa preliminari di Champions, il massimo del minimo. Viceversa, arrivare quarti (e, dunque, precipitare in Europa League) comporta un salasso di quattrini. Già otto espulsi, l’Inter, con i due di domenica. Fossero tutti qui, i guai. Il 6 gennaio Mancini era in testa, a metà febbraio è quinto. La Fiorentina allunga, la Roma accelera, il Milan incalza. Ecco perché Thohir, al debutto fuori casa, era molto teso.