Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 14 Domenica calendario

La guerra per le spoglie di San Valentino

Panche usate come barricate, picchetti in chiesa, una basilica che a tratti sembra più un centro sociale, nonni e nipoti come scudi umani schierati intorno alla teca che contiene i resti di San Valentino, vescovo, martire, santo patrono di Terni. Insomma, il santo dell’amore spacca in due una città. Siamo a Terni, come detto, e i ternani hanno una lunga storia di presidi e cortei. Un anno e mezzo fa fecero scendere in piazza migliaia e migliaia di persone che arrivarono da mezza Italia per salvare le acciaierie dalla mannaia tedesca dei tagli.
PROTESTE E TRATTATIVE
Da venerdì scorso un manipolo di signore cotonate e di signori con i nipotini al fianco tiene sotto sequestro la reliquia di San Valentino, che il vescovo di Terni, monsignor Giuseppe Piemontese, avrebbe voluto spostare dalla Basilica in duomo, quattro chilometri più in là, per le celebrazioni di oggi, in quanto anno giubilare. A ottobre dell’anno scorso, quando il vescovo fece l’annuncio, dal quartiere di San Valentino si alzò un unico grido: «Il santo da qui non si sposta. Siamo pronti a fare le barricate». Sembrava uno slogan. Poi fu tutto un cercare un accordo, incontri ufficiali e ufficiosi, studi tecnici sulla fattibilità della cosa (i resti sono stati spostati solo due volte, per pellegrinaggi, dal 1618) botta e risposta con la Sovrintendenza sull’opportunità di traslare un reperto tanto antico. Alla fine il vescovo era arrivato a far modificare un’auto per trasportare la teca in sicurezza e avrebbe pagato di tasca sua questo extra, per non gravare sulle finanze di una diocesi i cui bilanci sono già appesantiti dal buco lasciato dalla precedente gestione. Sembrava filasse tutto liscio. Invece, poche ore prima dell’appuntamento fissato per la traslazione, i fedeli entrano in chiesa e spostano le panche intorno alla teca. Cominciano a recitare il rosario a voce così alta, almeno all’inizio, da coprire quella del vescovo. Segue poi una trattativa che, incredibilmente, non sortisce effetti.
ZONA ABBANDONATA
«Abbiamo perso tutti», dice un parroco entrando quando ormai la divisione è netta. L’analisi è un sasso contro uno specchio che ora è in mille pezzi e, in ogni pezzo, ci si guarda una parte di città. Dietro la protesta del manipolo di fedeli c’è tutta la rabbia per come il quartiere sia in degrado, sporco e senza servizi. Con una miopia difficile da capire l’amministrazione lascia abbandonato a se stesso il quartiere dove c’è la basilica che custodisce i resti di uno dei santi più amati e conosciuti nel mondo, anzichè renderlo volano di attrazione per il turismo sacro e profano.
CONTRADDIZIONI
Si specchiano le contraddizioni di una città che vota sempre a sinistra ma poi, forse smarrita e senza punti di riferimento, cerca la sua identità nelle reliquie di una santo oltre che nel lavoro. La fede, però, è altro e lo ricorda la Ceu, la Conferenza episcopale umbra, che si schiera a fianco del vescovo Piemontese, di fatto scaricando i frati carmelitani della basilica, che pur tentando a tratti una mediazione, sono rimasti molto defilati: il vescovo era solo in chiesa, e rigido nel suo ruolo, forse colto di sorpresa da una rivolta di cui, invece, qualcuno avrebbe dovuto percepire l’eco. E chissà che questa non sia un’altra chiave di lettura.