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 2016  febbraio 14 Domenica calendario

A che cosa è servito il Movimento 5 stelle, in questi tre anni?

Sono passati tre anni dalle ultime elezioni politiche. A che cosa è servito il Movimento 5 stelle, in questi trentasei mesi? E a che cosa serve adesso?
Il Movimento, innanzitutto, ha incanalato e fatto sfogare dentro il perimetro della democrazia l’immensa insoddisfazione prodotta dalla crisi economica, dal collasso del sistema bipolare, e dalla sensazione diffusa che, col gabinetto Monti, Bruxelles avesse commissariato l’Italia. Questo risultato, che Grillo ha rivendicato più volte, è stato con ogni probabilità il più importante che il M5s abbia ottenuto. Agli insoddisfatti, poi, ha regalato un sogno, tanto più importante quanto più il governo tecnocratico era ritenuto «alieno»: la democrazia diretta via web.
Il Movimento, in secondo luogo, ha posto con forza il tema dei costi della politica e dell’onestà degli amministratori pubblici. Così facendo ha sortito senz’altro degli effetti positivi – anche se ne ha sortiti pure di negativi. Il confine fra moralità e legalità da un lato, moralismo e giustizialismo dall’altro è sottile. Nel nostro Paese poi, dove da sempre è sottilissimo, negli ultimi venticinque anni s’è assottigliato ancora di più. E bisognerebbe capire – ma non è facile – fino a che punto si siano davvero rafforzate legalità e onestà, grazie al M5s, e quanto invece giustizialismo e moralismo.
L’ossessione per gli scontrini e l’enfasi sull’integrità hanno fatto passare in secondo piano rispettivamente iniziativa politica e competenze. La propaganda grillina ha rafforzato inoltre l’idea che la politica non debba costare e i politici non vadano pagati. Una convinzione che si presta a sortite demagogiche fin troppo facili, ma resta profondamente sbagliata: se la politica e i politici non funzionano, la soluzione non è pagarli meno, ma selezionarli e controllarli meglio.
Dubito che nel Movimento siano contenti del terzo risultato che hanno raggiunto: Matteo Renzi. Che Renzi sia figlio dell’«ondata» grillina del 2013, sarebbe difficile negarlo. Che sia un figlio «buono» è parecchio più discutibile, naturalmente. Considero uno sviluppo positivo, a ogni modo, che la sinistra italiana sia infine stata costretta a prendere atto del suo abissale ritardo sui tempi storici, e a modernizzarsi. A debito del Movimento infine, in quarta posizione, troviamo l’aver alimentato l’indignazione aprioristica, il complottismo e la perdita del senso di realtà.
E adesso, dopo tre anni, a che cosa serve il M5s? Così com’è, non più a molto. Rischia soprattutto di far danno, anzi – in particolare, di inchiodare Renzi a Palazzo Chigi per il prossimo ventennio, dopo avercelo portato. Prendiamo tre vicende recenti che hanno riguardato il Movimento: il caso di Quarto, la marcia indietro sulle unioni civili, il decalogo (surreale) che i candidati alle elezioni comunali romane dovranno sottoscrivere, impegnandosi a dimettersi e pagare una multa salatissima se, una volta eletti, non rispetteranno le indicazioni di Grillo e Casaleggio. Che cosa segnalano, queste tre vicende? La prima, che il mito della «gente comune» in politica rende il Movimento permeabile alla malavita organizzata. E che, quando ciò accade, moralità e moralismo, il desiderio di essere puliti e la necessità di apparirlo, entrano in cortocircuito. La seconda, che il mito della democrazia diretta dev’essere frettolosamente e maldestramente abbandonato quando entra in conflitto con la politica più classica, ossia con la tattica parlamentare e il consenso elettorale. La terza, che il mito dell’«uno vale uno» genera caos, e che dal caos non nascono democrazie, dirette o delegate, ma autocrati irresponsabili.
Prese insieme – e sommate alle notevoli difficoltà che il Movimento sta incontrando là dove amministra, oltre che alle continue ondate di dimissioni, secessioni ed espulsioni – le tre vicende dimostrano che i miti della gente comune, della democrazia diretta e dell’uno vale uno altro non sono che, appunto, dei miti. Destinati se va bene a rivelarsi soltanto irrealizzabili, e quando va male a creare problemi. Spiace dirlo per chi ci ha creduto in buona fede, ma le cose non sarebbero in alcun modo potute andare diversamente. Né lo potrebbero in futuro.
Poiché però quei miti rappresentano la ragion d’essere del grillismo, nel momento in cui essi rivelano il loro carattere mitologico, del Movimento non rimane più molto. Restano parecchi voti, certo, radicati in tanta frustrazione e, forse, in un po’ di speranza. Ma con la frustrazione non si governa. E si governa poco anche con la speranza, se non la si mette al servizio di un progetto politico. In compenso, se quella frustrazione la si raccoglie tutta e la si incanala in un vicolo cieco, si fa il gioco di chi qualche risposta politica almeno prova a darla. Renzi, appunto.