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 2016  febbraio 14 Domenica calendario

La battaglia dei sindaci, caso per caso da Milano a Napoli

Milano. Il duello carico di insidie tra il partito della Nazione e la scommessa di Berlusconi
Milano è la partita cui Renzi e Berlusconi tengono di più (Salvini appare invece in disparte: nelle grandi città non ha neppure un candidato). Chiunque entri a Palazzo Marino, è destinato a segnare una discontinuità. Pisapia non si ricandida, la sua vice ha perso le primarie, sia pure di misura: l’epoca arancione è finita. Giuseppe Sala rivendica il successo dell’Expo, ma ha il problema di non scoprirsi troppo a sinistra, dove emergerà senz’altro un candidato. Una sua vittoria sarebbe la conferma del partito della Nazione. Renzi non lo chiama così, ma la sua strategia è quella: giocare a tutto campo, prendere una parte dei voti di destra in libera uscita, porsi non come anti-berlusconiano ma come post-berlusconiano, dire ai moderati: prima avevate lui, ora avete me. Per questa operazione Milano può rappresentare il terreno giusto; che però può anche rivelarsi insidioso. La città ha una solida maggioranza politica di centrodestra; ma il momento magico non incoraggia cambiamenti radicali; e l’appeal di Stefano Parisi, direttore generale di Confindustria ai tempi della gestione non trionfale di D’Amato, è da dimostrare. Lui fa notare che i simboli della nuova stagione, dall’Expo alla rivoluzione edilizia, sono legati alle giunte precedenti. Berlusconi aveva pensato alla carta Passera; ma la Lega non poteva appoggiare un ex banchiere. Il fondatore di Italia Unica tenta quindi una difficile corsa personale. Il personaggio è di valore. Ma il suo slogan – «basta con la sinistra» – suona contraddittorio in bocca all’uomo che andò a votare alle primarie che nel 2005 incoronarono Romano Prodi.
I grillini per ora non sono in partita. Al momento sono rappresentati da Patrizia Bedori, in passato vicina a Rifondazione comunista, che ha vinto la competizione interna con 74 voti; pure Crozza, grande amico di Grillo, ha infierito su di lei. Casaleggio l’ha convocata per chiederle un passo indietro, lei ha risposto no: quando le ricapita?

Torino. Una ragazza affronta l’ultimo erede del Pci e un sistema consolidato
La partita di Torino è forse la più interessante e imprevedibile. Da una parte c’è un sistema, dall’altra una ragazza. Di questi tempi, può essere un vantaggio per la ragazza. Il sistema nacque nel 1993, quando a casa del filosofo Gianni Vattimo — poi pentitissimo — quel che restava del mondo Fiat si alleò con quel che restava del mondo Pci per inventare la candidatura di un ingegnere del Politecnico, Valentino Castellani, contro la Lega e contro il vetero Diego Novelli. Al primo turno Novelli superò il 40%, Castellani si fermò al 20 battendo il leghista Comino per un soffio. Alla vigilia del ballottaggio, l’Avvocato Agnelli benedisse l’operazione. Il resto lo fece un pensionato di Mirafiori, che intervistato dal Tg3 regionale disse: «Novelli? Oh basta là! Zingari e piste ciclabili!». Stravinse Castellani. Il sistema poi si consolidò sull’asse Chiamparino-Salza (Compagnia di San Paolo). Oggi Piero Fassino, l’ultimo erede del Pci torinese — torinesi di nascita o di formazione furono Gramsci, Togliatti, Secchia, Terracini, Longo, Pajetta, Pecchioli, Occhetto, Violante —, affronta la candidata grillina, Chiara Appendino. Slogan: «L’alternativa è Chiara». Non la solita smanettona, ma una giovane signora borghese, bene introdotta in società; dopo la laurea in Bocconi ha pure lavorato alla Juventus. La sinistra dura schiera l’ex sindacalista Fiom Giorgio Airaudo. Il sindaco uscente deve vincere al primo turno, se no rischia. Resta da capire se all’eventuale ballottaggio la borghesia conservatrice voterà 5 Stelle, come accadrebbe in un’altra città, o se invece appoggerà Fassino in quanto uomo d’ordine benché antico comunista, o forse proprio in quanto antico comunista. Fassino ha amministrato bene una città che dopo gli sfarzi olimpici si è un po’ fermata, a causa anche dei debiti dell’era Chiamparino. Quanto al centrodestra, a Torino non tocca palla da decenni. Per disperazione nel 2006 arrivò a candidare Rocco Buttiglione, che è di Gallipoli. Stavolta punta su Osvaldo Napoli.

Roma. C’è il record dei candidati e della paura di vincere Con l’incognita Cinque Stelle
Roma ha il record di candidati ma in realtà sembra non volerla nessuno. Un grillino sindaco della capitale sarebbe l’apertura dei siti di mezzo mondo; Renzi ha tutto l’interesse a evitarlo. Ma un grillino sindaco della capitale sarebbe uno spauracchio formidabile, in vista delle elezioni nazionali, da agitare a Bruxelles e a Berlino nella trattativa sui conti pubblici; a Renzi potrebbe tornare comodo. Il punto è che i grillini non sembrano ansiosi di conquistare una città ingovernabile. Alessandro Di Battista spinge Virginia Raggi: consigliera comunale, avvocata, giovane mamma. Il candidato di Roberta Lombardi è Marcello De Vito, che nel 2013 non arrivò al ballottaggio. Casaleggio non è convinto di nessuno dei due e spera che dai provini video esca una sorpresa: magari un precario dell’università o un esponente del sindacato di polizia, che peschi voti a destra.
Berlusconi ha strappato il sì a Guido Bertolaso, che è partito forte paragonandosi a Mr Wolf; ma la sua candidatura è appesantita dagli scandali. Per non farci mancare nulla, scende in campo pure Francesco Storace. Alfio Marchini correrà da solo: non ha convinto la destra a sostenerlo, forse per la sua autonomia, forse per la storia familiare troppo connotata a sinistra; l’Alfio Marchini che mise la bomba in via Rasella con Bentivegna e la Capponi era suo nonno.
La voce di un complottone della vecchia guardia per sostenere Roberto Morassut in chiave anti-Renzi è una sciocchezza; Walter Veltroni, ad esempio, si terrà alla larga dallo scontro. Le primarie dovrebbe vincerle Roberto Giachetti; ma la campagna sarà tutta in salita per l’ex capo di gabinetto di Rutelli, al tempo in cui Bertolaso era vicecommissario al Giubileo. Interessante la candidatura alle primarie di Chiara Ferraro, ragazza autistica. Stefano Fassina invece si candida direttamente al Campidoglio. Marino fa come d’abitudine melina; spinge per un suo ritorno il gruppo «Marziani in movimento»; i romani tremano.

Napoli. L’eterno ritorno dell’uguale La possibile eccezione è una: l’esperta di malattie dei conigli
Giambattista Vico sarebbe soddisfatto per la conferma della sua teoria dell’eterno ritorno del sempre uguale; ma sarebbe infelice per la condizione della sua città. Luigi de Magistris ha amministrato Napoli con un’allegria da naufrago. Un Borbone con la bandana. Ha organizzato molte feste, spesso con distribuzione di farina — al «Compleanno della Nutella» si regalavano sfilatini davanti alla reggia —, anche se il suo simbolo non è la forca ma la manetta. Non ha partiti alle spalle ma un certo consenso popolare. Gli va riconosciuto il coraggio di chiudere il lungomare alle auto. Ieri ha indetto un’assemblea per annunciare che lo appoggiano sette liste; ma forse sono dieci. I Cinque Stelle si dibattono nel marasma più completo. Terrorizzati dal ripetere l’errore di Quarto, hanno vagliato decine di candidati, tra cui potrebbe emergere Lucia Francesca Menna: veterinaria, tiene corsi ed esami di Patologia aviare, Tecnologia avicola, Patologia tropicale veterinaria, Patologia del Coniglio e della Selvaggina. È sostenuta da Roberto Fico. Ieri trentasei grillini dissidenti hanno cominciato lo sciopero della fame. Berlusconi ricandida l’imprenditore Gianni Lettieri, in testa ai sondaggi ma fragile al ballottaggio. Dopo la sconfitta del 2011 contro de Magistris è rimasto in consiglio comunale, ritagliandosi uno spazio indipendente da Forza Italia e dai cosentiniani. In città la destra è forte, ma da quando esiste l’elezione diretta del sindaco non ha mai vinto. A sinistra rispunta Antonio Bassolino; «perché Enzo Bianco e Leoluca Orlando sì, e io no?». Contro di lui si sono uniti tutti, compresi i renziani e la sinistra interna, che alle primarie candidano una bassoliniana, Daniela Valente, la quale però non vale il maestro. Renzi, dopo i problemi con Vincenzo De Luca — che peraltro di Bassolino è atavico nemico —, segue senza simpatia la corsa del sindaco del 1993, che contraddice la strategia della rottamazione e rischia seriamente di riconquistare una città da cui il premier si attende soprattutto guai.