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 2016  febbraio 14 Domenica calendario

È record di prescrizioni. Armando Spataro ci spiega perché

 
Leggi «cattive», come la ex-Cirielli, una «drammatica carenza di personale», ma anche scelte delle singole procure «ormai superate». Sulla mannaia della prescrizione ecco l’analisi impietosa del procuratore di Torino Armando Spataro che chiede subito «lo stop della prescrizione dopo il rinvio a giudizio».
Torino risulta la prima città in Italia per numero di prescrizioni, ben 15.370. Come se lo spiega?
«Sono diventato procuratore il 30 giugno 2014 e ho rilevato una situazione delicata per la pendenza di procedimenti sia per effetto di fattori generali, sia particolari, frutto di programmi organizzativi dell’ufficio fondati sui cosiddetti “criteri di priorità”».
Problemi generali? Quali sarebbero?
«Parlo di gravi carenze strutturali, di leggi che fanno proliferare i reati, di quelle cattive come l’ex-Cirielli, ma anche di quelle che vorremmo approvate e che sono ancora lontane dal traguardo. C’è un problema drammatico, se si pensa che da 18 anni non si bandiscono concorsi, che molti impiegati e funzionari sono andati in pensione e ancor di più ne andranno nel 2017, una prospettiva tremenda. E sia ben chiaro che la mobilità da altre amministrazioni, a parte la lentezza delle procedure e la necessità di “tirocinio”, non risolve assolutamente i problemi. Ad esempio, alla mia procura non è stata destinata neppure una persona».
Quanti guasti sono venuti dalle leggi sbagliate sulla prescrizione?
«I danni della ex-Cirielli (si chiama “ex” perché perfino l’ideatore ne volle prendere le distanze...) sono stati ben ricordati da Legnini ieri su Repubblica. Adesso è assolutamente necessario che il Parlamento approvi una legge che interrompa il decorso della prescrizione almeno dopo la sentenza di primo grado, anche se sarebbe meglio che ciò avvenisse dopo il rinvio a giudizio».
Torniamo a Torino e a quel brutto primo posto in classifica...
«È noto che la procura, anche quando esisteva quella presso la pretura, ha adottato per prima in Italia i “criteri di priorità”. Lo hanno fatto vari procuratori, tra cui gli ultimi due, Maddalena e Caselli. Secondo quei criteri si dovevano trattare innanzitutto i processi che possiamo definire più gravi per varie ragioni. Questa scelta era certamente virtuosa quando è stata adottata, ma col tempo ha prodotto serie criticità, tra cui innanzitutto l’accumulo di processi inevitabilmente destinati alla prescrizione».
Nel suo progetto organizzativa degli uffici del giugno 2015 è scritto che tra gennaio 2010 e dicembre 2014 la procura ha chiesto 43.162 archiviazioni per prescrizione. Un dato shock, non le pare?
«L’accumulo di migliaia di processi destinati alla morte rischia di mettere in crisi il principio di obbligatorietà dell’azione penale, il quale non è la malattia da estirpare, ma il malato da guarire. E si tratta di un principio da difendere con le unghie e coi detti in quanto garanzia di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».
Ricorda singoli processi andati al macero che l’hanno colpita?
«Sicuramente no, e ne è ovvia la ragione, in quanto i criteri di priorità non toccano certo i reati più gravi. Ma il magistrato non può ignorare il diritto delle parti offese dei cosiddetti “delitti di strada” e di quelli più comuni ad avere piena tutela. Peraltro proprio il Csm, sempre nel 2014, ha approvato un’importante risoluzione in cui dice che il rischio di prescrizione non può certo determinare la trattazione ritardata dei processi, ma deve piuttosto anticiparla».
Questa storia delle priorità tanto osannata dalla politica appartiene al passato?
«Oggi non abbiamo bisogno di altre priorità, al di fuori di quelle già previste per legge, anche perché sono state fatte scelte deflattive apprezzabili. Mi riferisco alla legge che ha cancellato il processo contro gli irreperibili, a quella che ha introdotto la cosiddetta particolare tenuità del fatto (con possibilità di archiviazione) e alla recente depenalizzazione di un consistente numero di reati».
Legnini parla con entusiasmo delle cosiddette buone prassi da adottare negli uffici, lei ci crede?
«Serve di sicuro una perfetta intesa tra tribunali e procure per organizzare il loro lavoro, così come chiede il Csm e come sta avvenendo da qualche mese a Torino».