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 2016  febbraio 15 Lunedì calendario

I migliori licei d’Italia. Quando la scalata verso il successo inizia dalla scuola

Il conto alla rovescia sta per terminare. Entro pochi giorni, e precisamente entro il 22 febbraio, gli studenti italiani che iniziano un nuovo ciclo di studi, dovranno iscriversi alla scuola prescelta. L’obbligo vale per tutti, anche per elementari e medie, ma è particolarmente delicato per chi sta per cominciare le superiori. Non si tratta solo di scegliere l’indirizzo di studi più adatto. Il problema è anche individuare l’istituto giusto. Tradizionalmente le classifiche internazionali descrivono una Penisola a macchia di leopardo, in cui aree di eccellenza scolastica coesistono con zone più problematiche, e di solito lo spartiacque è rappresentato dai livelli di reddito e di sviluppo economico delle diverse zone. Spesso, però, le differenze sono rilevanti anche tra scuola e scuola. E i distacchi sono destinati ad aumentare se si considera la sempre maggiore autonomia affidata ai singoli dirigenti scolastici. Più potere ai presidi (la riforma del 2015, la cosiddetta «Buona scuola», va in questa direzione) vuol dire che gli istituti ben gestiti andranno sempre meglio. Con un grande punto di domanda su tutti gli altri.
Si spiega così la crescita esponenziale della domanda di informazioni da parte delle famiglie e il successo di chi queste informazioni è già attrezzato a darle. È il caso della Fondazione Agnelli e della sua ricerca annuale sulle migliori scuole superiori italiane pubblicata all’indirizzo internet eduscopio.it. Nell’edizione 2014 (l’ultima di cui si abbiano i dati completi) il sito ha fatto registrare un record di un milione di pagine visitate. Dati che saranno con ogni probabilità superati dalla versione 2015 (online dal mese di dicembre). Merito anche (...)(...) della chiarezza del metodo scelto. La ricerca misura il rendimento universitario dei diplomati delle singole scuole e il punto di partenza è semplice: un buon rendimento all’università è indice di una solida preparazione scolastica. Quindi si prendono in considerazione le scuole che preparano all’università (per il momento dunque non vengono considerati gli istituti professionali), attraverso le banche dati del ministero dell’Istruzione si misurano voti e crediti ottenuti dagli ex allievi nel primo anno di università (i due parametri vengono pesati per il 50% in modo da valutare profitto ma anche intensità dell’impegno). Il tutto viene poi «normalizzato» con un parametro che corregge la diversità delle facoltà scelte (ingegneria, per esempio, non è in termini di medie paragonabile a lettere) e si ottiene un numero indice che stabilisce la graduatoria tra i vari istituti (indice Fondazione Agnelli).
Sul sito è possibile un confronto solo tra scuole situate in un raggio di 30 chilometri («vogliamo solo fornire un servizio pratico alle famiglie e i paragoni vanno fatti a parità di condizioni di sviluppo economico e sociale dell’area di riferimento», spiegano alla Fondazione Agnelli) mentre Il Giornale ha usato i dati raccolti per allargare la classifica su base nazionale. Nel selezionare i nomi degli istituti pubblicati in queste pagine, l’élite di un plotone agguerrito, abbiamo usato, soprattutto per il liceo scientifico, una sola accortezza: privilegiare i grandi istituti, che riescono a mantenere medie universitarie d’eccezione (e quindi un livello di preparazione omogeneo e ad alto livello) pur sfornando centinaia di diplomati ogni anno. È il caso per esempio dell’Ulisse Dini di Pisa, primo tra i licei scientifici: più di 210 diplomati ogni anno, voto medio alla maturità 80, voto medio all’università 29,3. Per i numeri troppo piccoli in classifica non figurano, dunque, due esempi di scuole d’eccellenza come la sezione di liceo scientifico del Rota di Calolziocorte, vicino a Lecco (ogni anno i diplomati sono più o meno una ventina con la media del 30) o il Giovenale Ancina di Fossano (una quarantina i diplomati, media del 29,2). A loro una menzione d’onore.
 
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Negli ultimi giorni di gennaio il sito web del liceo classico Manzoni di Lecco sembrava parlare di tutto meno che di scuola. Tra le notizie principali l’itinerario di una ciaspolata in montagna, il programma di una visita all’Accademia di Brera a Milano, gli orari di un ciclo di conferenze: una sui vulcani in Islanda, un’altra sui problemi dell’economia. Roba da centro per il tempo libero più che da ginnasio d’élite. Giovanni Rossi, il preside, sorride e spiega: «Non si faccia idee sbagliate, c’è una spiegazione semplice: da qualche anno, come molti altri licei, sospendiamo le lezioni per una settimana alla fine del quadrimestre, e ci dedichiamo ad altro. Chi ha dei problemi in qualche materia resta in classe per recuperare. A chi ha un rendimento soddisfacente offriamo approfondimenti e spunti. E nel programma complessivo ci sta bene anche una passeggiata insieme. Quest’anno circa un terzo degli studenti hanno frequentato i corsi di recupero. Gli altri hanno partecipato alle varie attività proposte». L’approccio sembra funzionare, visto che l’istituto ha conquistato, secondo i dati della Fondazione Agnelli, il titolo di miglior classico d’Italia. Chi esce dal Manzoni, una volta arrivato all’università, ha una media del 29,27. «E pensi che in qualche misura i dati ufficiali ci penalizzano», racconta il preside Rossi. «Secondo le statistiche del ministero il 2% dei nostri studenti non prosegue gli studi. E invece si tratta di quelli, spesso i più bravi, che si iscrivono direttamente a un ateneo straniero e che quindi non risultano dalle cifre ministeriali. Negli ultimi anni abbiamo avuto diplomati che sono andati a Yale o a Oxford, piuttosto che al Politecnico di Zurigo o all’americana John Hopkins».Anche all’apparenza il Manzoni è il tipico liceo-istituzione di provincia: la sede è in pieno centro, nell’antica caserma austriaca e da quasi cent’anni qui studia la classe dirigente lecchese. Nelle sue aule sono passati tra l’altro il cardinale Angelo Scola, Roberto Formigoni e l’ex ministro Roberto Castelli. Come gli altri licei classici la scuola fa i conti con la popolarità calante del più tradizionale indirizzo di studi della scuola italiana: fino a qualche tempo fa le sezioni erano quattro, con la maturità del 2015 si sono ridotte a due. Per questo sin dal 2012 il Manzoni è diventato anche liceo linguistico (anch’esso ben piazzato nelle classifiche della Fondazione Agnelli): in tutto gli allievi delle due anime dell’istituto sono 800. Rispetto alla vecchia scuola molto è cambiato. «Una volta, diciamoci la verità, il vanto del classico era la selezione», dice Daniela Pederiva, insegnante di latino. «Il professore entrava in classe, spiegava e poi erano problemi dell’allievo. Adesso bisogna sempre tenere presente quello che deve essere il risultato finale ma i percorsi, di approfondimento e di sostegno, sono diventati più complessi». La conseguenza è che è cambiato anche il tasso di alunni bocciati. «Il record l’abbiamo fatto un paio d’anni fa, con un respinto solo. Merito anche dell’attività di riorientamento che facciamo durante il primo anno d’iscrizione», spiega Rossi. «Tutto sommato siamo un buon esempio del fatto che la ricerca dell’eccellenza si fa anche facendo attenzione a chi è in difficoltà».Da tempo la scuola ha avviato sperimentazioni e potenziamenti per correggere quelli che venivano individuati come «difetti» del liceo classico: un’ora in più di matematica (a scapito, almeno in passato, di un’ora di latino), più inglese. «Da questo punto di vista l’accoppiamento con un liceo linguistico ci è stato utile per aprirci di più verso il mondo», spiega Rossi. Ma la nuova frontiera sono i «percorsi di alternanza scuola-lavoro». Dopo la riforma del 2015 (la cosiddetta «buona scuola») anche per i licei è diventato obbligatorio il tirocinio in aziende o istituzione esterne. E i ragazzi del Manzoni hanno incominciato a «lavorare». Il fiore all’occhiello è una mostra «Morandi, Morlotti e il paesaggio italiano tra le due guerre», appena aperta nel principale polo museale lecchese. Gli alunni del migliore classico d’Italia hanno contribuito a scrivere le schede di lettura, gestiscono il sito internet e ogni domenica fanno da guida ai visitatori.
 
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Al liceo Ulisse Dini di Pisa sono sbarcati i cinesi. Sono gli insegnanti universitari che il governo del Paese asiatico manda alla Scuola superiore Sant’Anna, una delle glorie accademiche pisane. Dal 2011 svelano i segreti del mandarino anche ai giovani alunni del liceo scientifico toscano. E nel prossimo mese di settembre, così come ogni anno, gli allievi del Dini faranno una vacanza studio, non a Londra o a Parigi, come molti coetanei, ma direttamente a Pechino. L’insegnamento del cinese è di quelli definiti extracurriculari, non fa parte cioè del piano di studi ministeriale, mentre è rigorosamente curriculare il cosiddetto Esabac, che sta per Esame di Stato-Baccalauréat. In pratica gli allievi delle sezioni di francese fanno qualche ora in più di lezione e al momento della Maturità sostengono anche il corrispondente esame francese. Risultato: appena diplomati possono, in automatico, iscriversi a una università d’Oltralpe. Tra i grandi licei scientifici italiani (vedi anche articolo in alto) il Dini è il primo nella classifica della Fondazione Agnelli: i suoi ex allievi hanno una media universitaria «monstre» del 29,3. E la qualità dei diplomati è distribuita su numeri di rilievo: dieci le sezioni, 1.150 gli allievi, più di 90 i professori. A gestire questa specie di industria della conoscenza è Andrea Simonetti, 56 anni, preside dal curriculum più che trasversale: diploma in oboe al Conservatorio, laurea in Scienza della Formazione, Master in Economia e management delle istituzioni scolastiche. Forse anche per i suoi studi, Simonetti è orgoglioso dei risultati «umanistici» del liceo: «Certo, come vuole il nostro indirizzo partecipiamo e otteniamo buoni risultati in tutte le Olimpiadi scientifiche, da quelle della Matematica a quelle di Fisica. Ma le performance sono buone anche nei Certamina di lingua latina. E cerchiamo di rafforzare le capacità espressive degli studenti puntando su corsi in campo teatrale, musicale e artistico». Dalle industrie private (negli ultimi due anni a fare delle donazioni è stato il gruppo ItaliaOnline) arrivano finanziamenti utilizzati per rafforzare le competenze scientifiche «core» degli allievi: corsi di introduzione al pensiero computazionale, o di programmazione su specifici linguaggi, mentre Simonetti considera «scontati» i corsi di sostegno alla preparazione per le principali certificazioni internazionali in campo informatico e linguistico. Anche lui, come tutti gli altri presidi di Italia, ha dovuto quest’anno fare i conti con l’arrivo dei nuovi «insegnanti di potenziamento» assunti a fine 2015 dalla riforma della Buona scuola con il compito di «ampliare l’offerta formativa». Il problema è che in molti casi le materie insegnate da questi neo-professori di ruolo (una media di 6-7 per istituto, che si sono aggiunti a quelli già in organico) non corrispondevano alle esigenze degli istituti di approdo. Al Dini ne sono arrivati 11, compreso un insegnante di diritto, materia ignota al liceo. «Abbiamo cercato di farne un’occasione: nel biennio abbiamo avviato dei corsi di educazione alla cittadinanza, mentre nel triennio abbiamo creato dei corsi in campo economico-giuridico, tradizionale punto debole dei licei, anche pensando a chi per esempio intende iscriversi, e non sono pochi tra i nostri allievi, a facoltà di quell’area». Un’altra novità della riforma è l’assegnazione ai presidi di una sorta di bonus per premiare gli insegnanti: al Dini sono arrivati circa 25mila euro. «I criteri previsti dalla legge per assegnare questa somma sono molto vaghi, si parla per esempio di qualità dell’insegnamento dizione che si presta a qualsiasi valutazione», spiega Simonetti. «Abbiamo formato una commissione di insegnanti per determinare meglio i criteri di assegnazione. È un’opportunità ma anche un rischio: la forza di scuole come la nostra è la preparazione dei professori e la loro collaborazione ai progetti. Se mal gestiti i bonus possono creare fratture pericolose». Quanto agli studenti è stato avviato un progetto definito «peer2peer», attraverso il sito dell’istituto e una sorta di motore di ricerca gli studenti delle classi avanzate si offrono come tutor di sostegno ai più giovani. «Noi», spiega il preside, «ci limitiamo a offrire aule e strutture».