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 2016  febbraio 15 Lunedì calendario

Scalia, ritratto dell’italiano del Queens che per decenni ha influenzato la giurisprudenza americana

«Sono un italiano di Queens». Ad Antonin Scalia piaceva presentarsi così e non solo quando incontrava italiani. Anche Barack Obama, del resto, nel rendergli l’estremo omaggio, ne ha ricordato le radici italiane. Citazione anomala per un Paese, gli Usa, nel quale, qualunque sia la propria origine, in pubblico si sottolinea sempre la propria identità americana come conferma dell’avvenuta integrazione nel Paese del melting pot. Ma per Scalia, il giudice che per più di un quarto di secolo è stato il magistrato più influente della Corte Suprema, rivendicare l’italianità significava esibire un Dna che era quello della patria del diritto e della grande oratoria. 
Sono in molti, estimatori e detrattori, che oggi lo ricordano come l’uomo che più di chiunque altro ha influenzato per decenni la giurisprudenza americana grazie al suo peso nella Corte, ma anche grazie alla brillantezza delle motivazioni da lui scritte: testi limpidi, spesso attraversati dall’ironia, coi quali Scalia spiegava le basi giuridiche delle scelte conservatrici della Corte o scudisciava i suoi stessi colleghi nei pochi casi in cui, uscito sconfitto dal voto, si trovata a scrivere le sue controdeduzioni. 
Scalia amava il poker, l’opera lirica e la caccia. Ma la vita l’ha dedicata a cambiare l’indirizzo giuridico, e in una certa misura anche le visioni politiche dell’America con le sentenze ispirate a un’interpretazione cosiddetta «originalista» della Costituzione: la convinzione che la Carta vada letta così come i Padri Fondatori l’hanno concepita e scritta, senza tentare di attualizzarla. 
Solo un altro giudice conservatore, Clarence Thomas, condivideva l’impostazione di Scalia, contraria a ogni interpretazione evolutiva, ma il giudice italo-americano, nei quasi 30 anni passati nella Corte Suprema, è riuscito quasi sempre a spuntarla col suo conservatorismo radiale ma anche col suo spirito libertario. 
Dai pronunciamenti sulla piena libertà dei cittadini di armarsi alla sentenza che ha consentito a tutti, compresi i potentati economici, di finanziare la politica senza limiti, al recentissimo stop alle misure di Barack Obama per ridurre l’inquinamento delle centrali a carbone, adottate anche in ottemperanza degli impegni per la lotta al global warming presi in sede Onu, Scalia è diventato una bandiera della destra. 
Uomo di grande arguzia, questo giudice scomparso ieri a 79 anni è stato il primo italo-americano a sedere nella Corte Suprema. Nominato, 30 anni fa, da Ronald Reagan. Il Senato ratificò quella scelta con voto unanime: 98 a zero. I democratici lo votarono, pur consapevoli delle sue idee conservatrici, riconoscendo il suo immenso talento giuridico celebrato ancora ieri dai leader progressisti, da Obama al suo predecessore Bill Clinton. Del resto Scalia è stato uno spirito libero che ha confezionato anche sentenze libertarie come quella che riconosce a chi protesta il diritto di bruciare la bandiera americana o quelle che tutelano anche i criminali più pericolosi da abusi giudiziari resi possibili da leggi pasticciate che non definiscono chiaramente le fattispecie dei reati. 
Ma con la sua eloquenza e un’arguzia tutta italiana (ci sono anche statistiche: su 134 casi deliberati dalla Corte Suprema negli ultimi anni, 75 opinioni di Scalia sono permeate di sarcasmo rispetto alle 9 di Stevens, mentre altri giudici come Roberts e la Sotomayor non hanno mai fatto ricorso all’ironia) il giudice italo-americano, oltre a influenzare la giurisprudenza, ha avuto anche un indiretto impatto sulla politica. Secondo molti il suo continuo richiamo alla volontà politica dei Fondatori ha contribuito a creare il clima di radicalizzazione che ha favorito la nascita di movimenti come i Tea Party.