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 2016  febbraio 15 Lunedì calendario

Commento al campionato di Gianni Mura

Allegri fa bene quando ricorda a tutti, in particolare ai suoi giocatori, da dove è partita la rincorsa. Nelle prime 10 partite 12 punti, un raccolto più da retrocessione che da scudetto. Ora si può dire che la Juve è cresciuta ribaltando le sue debolezze. Prendeva gol decisivi nel finale? Adesso li segna. Faceva omaggio del primo tempo agli avversari? Adesso inizia con altro atteggiamento, altra grinta. Aveva poche alternative? Adesso la panchina è la sua forza. Col Napoli la riprova. Difficile immaginare alla vigilia che i due goleador di Sarri, Higuain e Insigne, avessero un rendimento così basso. Non che i due di Allegri, Morata e Dybala, l’avessero alto. Così Allegri ha pescato il jolly in panchina: Zaza, un attaccante istintivo, un’anima attraversata. Così la Juve ha vinto la partita del sorpasso, che sembrava avviata allo 0-0: nessuno avrebbe storto il naso, tanto meno la Juve che all’assenza di Chiellini aggiungeva quella di Bonucci.Lo scontro diretto ha visto due squadre alla pari. Stessa idea: chiudere gli spazi, impedire agli altri di fare il solito gioco. Battuto ma non abbattuto, il Napoli può ripartire dall’entusiasmo dei tremila tifosi che l’hanno atteso all’aeroporto alle tre di ieri mattina. Poteva, doveva giocare un secondo tempo diverso, ma forse non ne aveva la forza o s’era convinto che lasciare Torino con due punti di vantaggio fosse comunque un affare. Nel primo tempo aveva imposto il suo pressing fin dentro l’area di Buffon. La Juve non era nemmeno sfiorata dall’idea di attaccare in massa, anzi sembra che Allegri, come ai suoi tempi il cunctator Capello, detto Fabio Massimo, abbia trasformato l’attesa in una strategia, in un’arte. Allegri dice d’ispirarsi a Galeone, Sarri a Sacchi, ma sul campo hanno ragionato da italianisti incalliti, con le punte della Juve ben dentro la loro metà campo e quelle laterali del Napoli a fare i terzini. Con tanti saluti allo spettacolo, ma succede spesso nelle partite di vertice.Come a Torino, lo scontro diretto per il terzo posto si decide nel finale e grazie ai panchinari: tiro di Zarate respinto, petto di Babacar per il 2-1. All’Inter non è bastato andare in vantaggio dopo 20’ di brividi, i primi: la Fiorentina sbaglia lo sbagliabile, Handanovic para il parabile e quando non para ci pensa Telles a salvare sulla linea un tiro a botta sicura di Ilicic. La Fiorentina torna terza, l’Inter resta quinta, col Milan a ruota. S’annuncia una lotta a quattro, con una Roma rinsaldata da Spalletti. Quanto all’Inter, delle ultime 9 partite ne ha vinte solo 2. Periodaccio. Era tornata in corsa grazie al gran lavoro di Palacio a tutto campo, mentre ancora si fatica a capire l’arrivo di Eder. Forse non l’ha capito nemmeno Thohir, in tribuna nella sua prima trasferta bagnata ma non fortunata. Tribuna da cui mancavano, dopo le recenti polemiche, i Della Valle.La Fiorentina ha costruito di più, ha messo in vetrina un bravo Bernardeschi, un saggio Borja Valero, regista e goleador (ancora di testa all’Inter, dopo i tre di Verona), ma non pochi piedi ruvidi (Roncaglia, Astori) e molto fumo (Tello). In sostanza, Sousa ha rimodellato la squadra mentre Mancini deve trovare la quadra, come si dice in gergo. Punto di svolta: sempre Telles. Mazzoleni non gli fischia un rigore contro (mani) ma gli dà il secondo giallo per un fallo inesistente. Da lì la partita, già tesa di suo, s’incattivisce e arrivano altri due rossi: a Zarate e, fischiata già la fine, a Kondogbia. Babacar, appena entrato, segna fortunosamente nei minuti di recupero, e questo è un dato di fatto. Ma la sua vittoria è più meritata che fortunata. Trovasse il modo di servire di più e meglio Kalinic sarebbe un bel passo avanti, ma questo vale anche per Icardi e l’Inter: solo Perisic sembra intuirne i movimenti. Giornata non inutile anche per Conte: a suon di gol si sono fatti sentire gli attaccanti italiani: dopo Sansone e Zaza, Immobile e Destro. Cui aggiungere, anche se non ha segnato, Bernardeschi.